È stato un periodo di fuoco per la Corte suprema degli Stati Uniti o meglio, di distruzione e macerie. Tre sentenze in particolare: è stata abolita la protezione costituzionale del diritto all’aborto; è stata dichiarata incostituzionale una centenaria legge dello stato di New York che poneva limiti al portare armi in pubblico; è stato tolto al governo federale il diritto di porre limiti alle emissioni di CO2.

Ciò che accomuna queste sentenze, oltre alla distruttività delle conseguenze, è l’enorme distanza dal sentire della società americana.

Secondo un recente sondaggio Reuter/Ipsos, il 71 per cento degli americani è favorevole a garantire il diritto all’aborto legale e sicuro almeno in determinati casi, e solo il 19 per cento si definisce antiabortista hard core.

Idem sulle armi: più di due terzi dei cittadini americani ritiene urgente la necessità di regolare il loro acquisto e uso in pubblico.

Per quanto riguarda le emissioni, un sondaggio Ipsos di aprile mostra che circa il 62 per cento dei cittadini degli Stati Uniti ritiene necessario combatterle a livello governativo. In tutte e tre le sentenze, quindi, la Corte suprema è andata contro il volere maggioritario dei cittadini. Ma come si è arrivati a questa “minority rule”?

Tutto ciò ha a molto che fare con lo spettro del Censo 2042, anno in cui i “bianchi” non saranno più la maggioranza demografica. E per quanto non sia affatto da dare per scontato che i “non bianchi” votino per il Partito democratico, lo stesso Trump anni fa lo disse apertamente: se le elezioni si svolgessero in modo davvero rappresentativo della volontà popolare «noi (repubblicani) non vinceremmo mai più».

Lettura originalista

La purtroppo lungimirante strategia dei repubblicani è stata l’occupazione di ogni spazio del sistema giudiziario, culminato nel controllo della Corte suprema.

La loro arma teorica: la cosiddetta lettura “originalista” della Costituzione che accetta solo interpretazioni in accordo con ciò che i Founding Fathers esplicitamente pensavano.

E quello che pensavano i Founding Fathers non è esattamente quello che pensiamo sia oggi la democrazia. La maggior parte di loro possedeva schiavi e non immaginava che le donne potessero votare.

Per questo la minority rule, come direbbero i programmatori, is not a bug, it’s a feature: non è un errore; è proprio così che è stata pensata la Costituzione americana.

La Costituzione americana non nasce come costituzione democratica, bensì repubblicana.  Come sistema di governo e rappresentanza accessibile solo a una élite connotata per classe/genere/razza (i maschi bianchi possidenti).

Una delle sue più plateali ingiustizie strutturali è il peso politico molto maggiore attribuito agli stati tradizionalmente conservatori (quelli al tempo schiavisti) nell’elezione del Senato.

L’Alabama (con meno di 5 milioni di abitanti) elegge 2 senatori esattamente come la California (quasi 40 milioni); il voto di un abitante dell’Alabama pesa quindi quasi 10 volte più di quello di un californiano.

Un’altra è il bizantino sistema dell’Electoral College che ha fatto sì che, negli ultimi 22 anni, in 3 elezioni presidenziali su 6 sia diventato presidente il candidato che ha perso il voto popolare.

Il sistema uninominale winner takes all promuove poi un ulteriore elemento di sovversione della volontà popolare, ovvero il gerrymandering, quel tracciare linee di confine tra distretti in modo tale da favorire il proprio elettorato.

Infine, sopprimere il voto o addirittura sovvertirlo non è impossibile. Un’altra sentenza della Corte suprema ha già tolto quel caposaldo del Civil Rights Act che era la vigilanza federale su certi stati ex segregazionisti, affinché non mettano ostacoli al voto afroamericano: ora, senza più controllo federale, tutti quegli stati hanno ratificato leggi che renderanno l’esercizio del voto nei distretti abitati da minoranze una corsa a ostacoli.

I funzionari fedeli a Trump

Per quanto riguarda la sovversione del voto, in molti stati gli i funzionari eletti repubblicani preposti a certificare il voto che si erano rifiutati di cedere alle pressioni di Trump e falsificare i risultati sono stati sostituiti da altri più obbedienti.

Nelle parole dell’opinionista del New York Times Jamelle Bouie, «stiamo sperimentando il fatto che le regole stabilite nella Costituzione consentono un sistema politico molto meno democratico di quanto noi americani immaginiamo, pensiamo, e vogliamo avere. Consentono un sistema politico che in qualche modo può facilitare l’autoritarismo abbastanza facilmente. Questo viola ogni nostro istinto di ciò che dovrebbe essere il processo democratico. Ma non c’è niente nel manuale delle regole che dice che non possano farlo».

Ma come, ci si chiede stupiti, quella americana non è la più grande costituzione democratica al mondo? No. Per capire perché, basta confrontarla con la nostra.

La Costituzione della Repubblica italiana, scritta un secolo e mezzo di lotte per i diritti civili e sociali dopo, e in esplicito ripudio del fascismo.

La Costituzione americana invece è nata mentre la schiavitù era legale e classismo e sessimo delle istituzioni erano ovvi e indiscutibili.

Inoltre, la nostra Costituzione è basata sui cosiddetti diritti attivi, ovvero sull’idea che lo stato ha il dovere di garantire ai cittadini diritti come istruzione o salute.

Quella americana invece sulla concezione dello stato anglosassone (derivazione: la Magna Charta) basata sui diritti passivi, ovvero la protezione dalla tirannide dello stato (il diritto a non essere condannati senza processo, per esempio, o a non pagare tasse senza rappresentanza) ma in cui lo stato non è tenuto a garantire alcun diritto attivo.

Nessuna costituzione, di nessun tipo, può poi reggere senza una robusta costituzione immateriale, il patto sociale implicito tra cittadini e stato, e tra cittadini.

Questa costituzione immateriale è in pericolo in molti paesi democratici, compreso il nostro. Ma noi italiani, come detto sopra, abbiamo una carta che ci protegge molto di più da questa deriva che non gli Stati Uniti.

Se il patto sociale americano scricchiola in maniera molto più vistosa non è solo perché è una società infinitamente più complessa, ma per via del suo assetto costituzionale.

La storia degli Stati Uniti può anche essere descritta come la storia – violentissima, piena di rinculi ma incessante –  dell’allargamento progressivo dei diritti.

“We the people”: una parte, quella ricca e potente, ha sempre cercato di aggiudicarsi l’esclusiva di queste parole. Ma l’altra parte, maggioritaria, non ha mai smesso di prenderle come il faro della propria lotta.

E soprattutto dopo il 1865, con gli Emendamenti dal 13° in poi (abolizione schiavitù), si è cominciato a tirare la Costituzione in direzione della democrazia così come la intendiamo oggi.

Questo è la vera grandezza democratica degli Stati Uniti: è una società che non ha mai preso per buono lo status quo, in un incessante movimento guidato da afroamericani, donne e lavoratori.

È quindi evidente che la minority rule che vorrebbe imporre un partito repubblicano ormai estremista – come la smaccata discrepanza tra le sentenze della maggioranza ultraconservatrice della Corte suprema e il sentire valoriale della maggioranza dei cittadini americani – non è un equilibrio stabile.

Perché i repubblicani certo non si fermeranno qui: del diritto di voto abbiamo già detto, e dopo aborto, limitazione delle armi e protezioni ambientali, i prossimi a saltare saranno verosimilmente il matrimonio egualitario, poi il diritto di associazione sindacale, in una corsa verso una società a misura solo dell’1 per cento.

Ma dall’altra parte c’è l’agguerrita società civile americana, e di una cosa si può star certi: non resterà a guardare.

Purtroppo, quel processo evolutivo democratico negli Stati Uniti è stato sempre accompagnato da violenze terribili, a cominciare dal bagno di sangue della Guerra civile.

Oggi la Costituzione è tirata da un lato da un letteralismo astorico, dall’altro dalla crescente distanza tra le sentenze che la interpretano e la società.  Scricchiola come una diga crepata. Intanto, circola un numero impressionante di armi,

Allacciamoci le cinture.

 

© Riproduzione riservata