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La Conferenza sul futuro dell'Europa volge al termine. Oggi, nel giorno della Festa dell'Europa, il rapporto finale viene pubblicato e consegnato ai presidenti delle istituzioni europee - il risultato di più di un anno di deliberazioni tra più di 50mila cittadini europei. Le sue 49 proposte di vasta portata includono la fine del voto all'unanimità, l'introduzione di liste transnazionali o il lancio di forze armate congiunte dell'Unione.

Il rapporto può rivelarsi un'iniziativa utile - o solo un esercizio di pubbliche relazioni che viene rapidamente dimenticato. Molto dipenderà dall'effettiva adozione e attuazione delle proposte. Ma in entrambi i casi, se l’obiettivo è stato quello di aumentare l'impegno pubblico nel plasmare l'unione, non sarà sufficiente, e principalmente per due motivi.

Strategie sentimentali

In primo luogo, rappresenta solo una delle strategie da impiegare per risvegliare il sentimento europeo. Corrisponde a quella che lo storico olandese Luuk van Middelaar chiama una strategia "greca", che consiste nel dare voce al pubblico, cosa che già avviene con l'elezione diretta del Parlamento europeo. Nei decenni passati questo ha coesistito con altre strategie politiche, come la promozione di un'identità culturale e storica condivisa, o l'appello ai benefici dell'integrazione europea. Ma il sentimento europeo non nasce necessariamente a causa di tali strategie intenzionali - può anche essere innescato da eventi esterni improvvisi. Questo sembra essere particolarmente il caso oggi, con un ritorno della guerra nel continente europeo.

Nel frattempo, e in secondo luogo, la maggior parte della conferenza ha avuto luogo prima dell'inizio della guerra in Ucraina. E questo singolo evento è diventato la fonte di molti dei principali dilemmi che l'Ue ha attualmente bisogno di affrontare - dalla sovranità energetica alla fattibilità delle sue ambizioni climatiche, alla disponibilità per un altro ciclo di solidarietà finanziaria, alla determinazione nella difesa della democrazia e dello stato di diritto negli stati membri, e così via. Si aggiungono alla già lunga lista di questioni portate dalla pandemia di covid-19. La guerra sta mettendo gli europei di fronte ad alcune nuove e difficili domande su se stessi. Per esempio, sono stati molto più solidali con i migranti ucraini oggi che con i siriani sette anni fa. Come dovrebbe essere interpretato questo? 

La bussola del sentimento europeo

Lo European Sentiment Compass – un nuovo strumento di dati e un saggio pubblicato oggi dallo European Council on Foreign Relations e dalla European Cultural Foundation - analizza le diverse angolazioni attraverso cui tali questioni sono attualmente discusse nell'Ue a 27. Per esempio, la politica climatica dell'Ue suscita speranza in alcuni stati membri ma paura in altri, e lo stesso vale per l'attivismo dello stato di diritto del blocco. Abbiamo anche analizzato se questi argomenti migliorerebbero o danneggerebbero gli atteggiamenti delle persone verso l'Europa nei rispettivi stati membri. Abbiamo appreso che su tutte le questioni la sensazione prevalente è che potrebbero avvicinare gli europei piuttosto che allontanarli, anche se tutto ciò dipende fortemente dalle decisioni che gli europei scelgono di prendere.

Allo stesso tempo, abbiamo esplorato il ruolo che due settori molto specifici - i media e il settore culturale - giocano nel far emergere il sentimento europeo in ogni paese. Crediamo che, anche quando le circostanze esterne sono favorevoli, questo processo non avrà successo se i media non sono indipendenti o l'espressione culturale non è libera. I canali per tradurre gli eventi in significati condivisi devono essere liberi, e in diversi membri dell'Ue non lo sono.

Un esempio evidente è l'Ungheria, dove le istituzioni culturali sono subordinate ai discorsi nazionalisti, e i media pesantemente controllati da un governo illiberale, rendendo molto difficile aspettarsi che la pandemia e la guerra possano aiutare gli ungheresi a sentire di essere in tutto questo insieme al resto degli europei.

Ma il problema dei media non riguarda solo la debole libertà dei media in paesi come Bulgaria, Ungheria, Malta, Grecia; o la bassa alfabetizzazione mediatica in una lista simile di paesi. Riguarda anche l'infiltrazione di interessi russi altrove, e la compiacenza alle interferenze straniere. Esempi recenti includono una TV italiana che permette a Sergey Lavrov di usare la prima serata per le sue accuse antisemite; un importante canale televisivo privato francese che conduce un'intervista con il portavoce del Cremlino; o The Guardian che accetta un pezzo d'opinione di un ex consigliere del Cremlino che si oppone all'invio di armi in Ucraina.

Cultura e Ue

Nel frattempo, con il settore culturale, il problema non è solo la promozione pubblica di discorsi nazionalisti in paesi come l'Ungheria o la Polonia - ma ancora di più la preoccupante forma economica del settore dopo la pandemia. Alcuni studi mostrano che è stato tra i settori più colpiti nell'Ue: alla pari con il trasporto aereo e prima del turismo. Nonostante una campagna della società civile - il Cultural Deal for Europe - che incoraggia gli stati membri a destinare il 2% dei loro piani nazionali di recupero e resilienza alla cultura, solo due paesi - Francia e Italia - lo hanno effettivamente fatto.

Oggi, l'arte e la cultura - dalla Biennale di Venezia al concorso Eurovision - sono in prima linea nella reazione dell'Europa alla guerra in Ucraina.  La cultura ha anche giocato un ruolo cruciale durante e dopo la pandemia: unendo le persone, mettendo in atto la solidarietà, aiutando gli individui e le comunità a dare un senso a quello che sta succedendo. Ma è pertinente chiedersi se in tutti i paesi dell'Ue il settore può contare su risorse sufficienti e sulla libertà necessaria per continuare a svolgere questi ruoli vitali.

Ci sono alcuni segnali positivi di un crescente apprezzamento della cultura e dei media nel loro ruolo di plasmare il sentimento europeo. Ursula von der Leyen ha recentemente riconosciuto come "l'Europa non possa essere Europa senza un fiorente settore culturale". Con Recovery Fund, per la prima volta le istituzioni europee hanno mobilitato un sostegno straordinario per i settori culturali e creativi. Nello stesso spirito, e riconoscendo che la guerra del Cremlino è, prima di tutto, una guerra contro i valori fondamentali europei, i sogni, gli ideali e la cultura, le nostre risposte devono includere una forte dimensione culturale. Il fondo fiduciario per l'Ucraina, di prossima istituzione, dovrebbe quindi includere la cultura tra le sue priorità. Il pluralismo dei media fa già parte dei rapporti annuali della Commissione europea sullo stato di diritto, che monitorano gli sviluppi significativi relativi allo stato di diritto in tutti gli stati membri. Allo stesso tempo, ci si aspetta che la Commissione europea proponga un nuovo regolamento nel corso di quest'anno per affrontare l'indipendenza dei media. Manca però un meccanismo di monitoraggio corrispondente quando si tratta di politiche culturali.

Un ecosistema

Il punto qui è che per affrontare le sfide attuali - dalla sicurezza al cambiamento climatico, alla migrazione - l'Ue ha bisogno di un ecosistema che permetta a queste questioni di essere permanentemente discusse in tutta l'unione, nella sfera pubblica europea, e che le conclusioni e i significati comuni emergano indisturbati. I media liberi e la cultura devono essere considerati parte integrante di questo ecosistema e gli attori necessari per aiutare gli europei a modellare il loro futuro. Sono quindi anche vitali per la sicurezza del continente e la sua capacità di agire in modo coordinato.

Esercizi come la conferenza sul futuro dell'Europa sono esperimenti lodevoli - ma sembrano essere troppo una tantum e gestiti dall'alto, e la loro legittimità è ancora lontana dalla perfezione. Sarebbe pericoloso supporre che da soli possano bastare a riunire gli europei.  Un sentimento europeo, un sentimento di appartenenza, deve crescere, deve essere alimentato. Non da sporadiche conferenze di cittadini, ma in modo consapevole, strategico e sostenibile. Altrimenti, ci rendiamo davvero vulnerabili agli eventi.

Andre Wilkens è direttore ECF della Fondazione Culturale Europea. Pawel Zerka è policy fellow allo European Council on Foreign Relations (ECFR).

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