La crisi energetica deve essere affrontata in Europa così come si è fatto per il Covid, perché è una crisi che viene da fuori, genera effetti diversi tra i vari paesi a seconda della loro dipendenza dal gas, interferisce con gli obiettivi di decarbonizzazione che l’Europa si è posta.

Come il Covid, impone una spesa pubblica crescente per proteggere il potere d’acquisto delle famiglie e la capacità di produrre delle imprese. Ha caratteristiche di temporaneità, almeno fino alla fine della guerra in Ucraina e nelle more della transizione energetica verso fonti rinnovabili.

In assenza di un intervento europeo per calmierare il prezzo dell’energia, la crisi provocherà una stagflazione in Europa per l’aumento dell’inflazione provocato dall’esplosione del prezzo del gas e per il ridursi del potere d’acquisto delle famiglie.

Se il contrasto all’inflazione dovesse ricadere tutto sulle spalle della Bce la stagflazione ne verrebbe esaltata, dato che eventuali rialzi del costo del denaro avranno scarsi effetti sul prezzo dell’energia, mentre  vi saranno pesanti riflessi recessivi sulla domanda interna europea.

L’Italia è stata la prima a chiedere un tetto al prezzo del gas, ma se lo ponesse da sola non avrebbe alcun effetto, se non quello di limitare ulteriormente le importazioni, ovvero di aumentare il debito pubblico se dovesse intervenire lo Stato a compensare la differenza tra il tetto e il prezzo di mercato.

Un tetto a livello europeo sarebbe più efficace, ma difficilmente potrebbe portare a rinegoziare i contratti con la Russia, fino a che si mantengono le sanzioni contro questo paese.

Ma la definizione di un tetto al prezzo del gas potrebbe essere una soluzione se l’Europa costituisse un fondo per finanziare l’eccesso di costo che si determina sul mercato a seguito delle manovre della Russia.

In altre parole, gli Stati europei potrebbero acquistare il gas al prezzo del mercato e sarebbero finanziati dall’EU per la quota di prezzo superiore al tetto fissato.

In questa maniera, si ridurrebbe l’impatto sui prezzi interni e si limiterebbe l’indebitamento pubblico degli Stati.

A loro volta, i paesi europei dovrebbero essere vincolati a politiche di riduzione del ricorso alle importazioni di energia dalla Russia, fissando un orizzonte oltre il quale il fondo non opererebbe più.

La tassa sull’energia

Inoltre, si potrebbe immaginare che, una volta raggiunta l’indipendenza dalle importazioni dalla Russia e, si spera, una volta che il prezzo dell’energia fosse tornato sotto il livello del tetto fissato, una tassa sull’energia potrebbe essere imposta per restituire gli importi del fondo, andando a costituire una sorta di tassa europea.

Solo in questa maniera si potrebbe evitare di essere travolti da inflazione e recessione che rischierebbero di frenare tutti gli obiettivi che ci eravamo posti con il Next Generation Eu.

Un simile intervento, il cui ammontare appare di dimensioni abbordabili a livello europeo, dovrebbe essere accompagnato da una strategia di razionamento dell’energia, come chiede anche Confindustria, e da modifiche del sistema di determinazione del prezzo dell’elettricità oggi troppo condizionato dal costo del gas.

Si potrebbe così superare questa congiuntura negativa dando una risposta politica alla Russia e rafforzando la coesione europea.

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