- Il problema del caso Palamara non si può ridurre a una somma di mancanze individuali, risolvibile con la punizione dei colpevoli.
- L’ inevitabile contiguità tra politica e giurisdizione promuove la tecnica appropriativa del potere del giudice ed eccita tra i magistrati una deformazione del potere diffuso verso una gestione della propria funzione.
- Non vi è magistrato corrotto o ignorante che non presenti la sua azione come frutto di scelte indipendenti. Non vi è magistrato collaterale ad un disegno politico che non affermi la discendenza del suo operare dalla legge soltanto.
Le crisi giungono all’improvviso perché non sappiamo coglierne i segni che le precedono (Machiavelli). Il senso di emergenza che provocano è un’illusione ottica. Così è anche per la questione esplosa intorno al cosiddetto caso Palamara.
Nessuna istituzione può chiamarsi fuori dalla caduta etica in base ad una graduatoria della moralità pubblica. Né il problema si riduce a una somma di mancanze individuali, risolvibile con la punizione dei colpevoli. Oggi riguarda lo stato democratico.
L’ inevitabile contiguità tra politica e giurisdizione promuove la tecnica appropriativa del potere del giudice ed eccita tra i magistrati una deformazione del potere diffuso verso una gestione della propria funzione fintamente vestita di forme processuali.
Non vi è magistrato corrotto o ignorante che non presenti la sua azione come frutto di scelte indipendenti. Non vi è magistrato collaterale ad un disegno politico che non affermi la discendenza del suo operare dalla legge soltanto.
All’accusa di irregolarità spesso si risponde, non come si dovrebbe, allegando il rispetto dei protocolli della professione, ma invocando la propria indipendenza. Come se essa fosse un potere ontologico e non una funzione costituzionale.
I giudici, recita l’articolo 101 della Costituzione, sono soggetti soltanto alla legge. La Costituzione non dice «i giudici sono soggetti alla legge».
Dice “soltanto” alla legge. Il problema è cosa introdurre nel sistema della indipendenza e nel suo corollario, che è il governo autonomo, affinché questa sovranità mantenga la sua funzione e non si trasformi in gestione di un potere irresponsabile, fatalmente esercitato per conto di altri.
La risposta può essere in una moderna nozione della professionalità del giudice e in un atteggiamento laico, razionalmente riformatore che ne consenta la verifica e l’adeguamento costanti. La professionalità, controllata e controllabile, è la qualità richiesta nell’esercizio di una specifica funzione giudiziaria.
La decisione del giudice non è una mera manifestazione di volontà. E’ manifestazione di scienza, che produce un effetto decisorio. Il giudice dice “cosa è” la legge, voluta da altri. Quindi ne impone il vigore. La giurisprudenza riveste un ruolo fondamentale per la sopravvivenza dei sistemi giuridici a legge scritta.
La consapevolezza che la scelta della posizione protetta è già stata fatta da altri, e consente al giudice di procedere secondo un meccanismo di identificazione della regola applicare, e del modo di applicarla.
Il processo permette al sistema di fare sì che siano la legge e la prova, ad assolvere o condannare. Non il giudice.
Il giudice professionale, come lo intende l’esperienza europea continentale, si legittima con l’indipendenza. E la suggestione dalla quale il magistrato deve essere difeso nasce dall’interesse della politica ad orientare la sua scelta.
L’indipendenza dell’ordine giudiziario da ogni altro potere, l’autonomia del suo governo affidata ad un organo formato anche da una significativa maggioranza di matrice politica, l’unicità della provvista dei magistrati , a me sembrano in grado di affrontare il nuovo.
L’ordinamento giudiziario ci fornisce alcune opportunità. L’eliminazione dell’anzianità come criterio forte nel conferimento degli uffici direttivi, la verifica quadriennale del lavoro fatto dagli dirigenti e la loro scadenza comunque al compimento degli otto anni, le valutazioni di professionalità e la riforma dell’ordinamento disciplinare sono strumenti importanti.
Giudicare i magistrati non è facile. Un organo di governo che vive di ricambio elettorale soffre quando deve giudicare. Il giudizio incide sul corpo elettorale, e sempre si tormentano i grandi principi, per accusare e difendere.
Il malessere di questo momento spinge verso una accelerazione dell’esperienza compiuta. I magistrati hanno l’ occasione di proporre la propria pacata razionalità ad un assetto delle istituzioni che di razionalità ha bisogno.
Comprendendo che la magistratura professionale, per alimentare la giurisprudenza in modo storicamente adeguato alla velocità dei cambiamenti, deve diventare una sorta di ecclesia semper reformanda.
La magistratura repubblicana ha una storia in salita. Sono stati negli anni 1950 e 1960 i giudici a smantellare la costruzione delle norme di non immediata applicazione, come quella dell’art 36, ridotte a niente altro che raccomandazioni affidate al buon cuore del legislatore.
È stata la magistratura a far entrare nell’ordinamento italiano i principi del diritto comunitario.
I giudici, insieme ad altre istituzioni di controllo, hanno fermato i finanzieri che attraverso le tecnologie informatiche diffondevano nel mercato titoli di credito impropri e pratiche oscure.
La legalità che risponde alle domande di tutela che vengono dalle nuove debolezze, ed alle minacce che vengono dalle nuove irresponsabilità, unisce il Paese.
La magistratura è istituzione unitaria. Applica il diritto nazionale. La legalità garantita da una magistratura che espone una attendibile professionalità aiuta ad uscire dalla difficoltà che viviamo.
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