Il M5S ha radunato una piazza intorno al No al piano di riarmo. Il tema è capire cosa può unire le opposizioni dinanzi all’attacco frontale alle costituzioni liberali
Sabato pomeriggio il Movimento 5 Stelle ha radunato una piazza romana sulle parole d’ordine del No al piano di riarmo dell’Europa e su un’agenda sociale rivolta ai bisogni di famiglie e imprese colpite dalla crisi. Quando le persone escono di casa per rivendicare i propri diritti e la pace è sempre una buona notizia. Il tema, casomai, è capire cosa può unire le opposizioni, almeno se pensiamo che un’alternativa vincente alla destra passa anche da una visione condivisa dell’Europa e del suo destino.
È vero, in una manciata di settimane il mondo è cambiato più che in un paio di decenni. Trump cancella ogni limite pregresso nel linguaggio, nell’uso delle provocazioni, nella violenza sulle regole, e sappiamo quanto la forma sia parte del problema. Il vero allarme sollevato da questa destra, però, è il suo impianto ideologico. Una miscela che si fonda sulla rimozione dei monopoli statali – moneta sicurezza giustizia – nel solco delle teorie critiche della democrazia parlamentare e degli istituti che ne derivano. Teorie che assumono la religione a pilastro dell’ordine politico. Che elogiano la decisione rapida con il potere concentrato nelle disponibilità di pochi eletti. Il loro avversario diventano burocrazie oppressive e regolamentazioni ossessive capaci di paralizzare l’efficienza di governi legittimamente eletti e dal giorno successivo sciolti dai vincoli delle norme.
Il punto di caduta? Un potere che si legittima “oltre la legge” sposando un individualismo esasperato che mette in discussione, delegittima, e infine punta a distruggere la democrazia. I due recenti discorsi del vice presidente americano J.D. Vance a Parigi e Monaco di Baviera non sono stati solo una sgrammaticatura diplomatica. Il punto è che rispetto a quell’impianto ideologico l’Europa, cioè tutti noi, siamo il “nemico”.
Un nemico storico per le nostre radici illuministe e la cultura istituzionale su poteri da bilanciare contro le derive autoritarie delle maggioranze. Di questo ragioniamo, di una destra che teorizza l’incompatibilità tra libertà e democrazia e che, su quella premessa, muove all’assalto dei valori fondanti dell’Unione Europea. Per essere ancora più espliciti, siamo dinanzi all’espressione di un impianto concettuale che rappresenta l’attacco più frontale e pericoloso alle costituzioni liberali della seconda metà del ‘900. Lunga premessa per dire che l’ostinazione sull’unità delle opposizioni è un programma politico con cui forze, culture, movimenti devono misurarsi.
VabeneLa stessa necessità rivendicata da Elly Schlein di una correzione radicale del piano di difesa e sicurezza europea trova una sua ragione anche nel contesto che abbiamo davanti. L’approccio di un riarmo dell’Europa appaltato quasi esclusivamente ai singoli paesi (insomma, ciascun per sé anche per gestire problemi interni) rischia di spostare l’intero bagaglio dell’identità europea sul versante di una militarizzazione che relega i principi del dopo 1945 alla sola retorica.
Dirlo equivale a rimuovere la necessità di ricostituire le scorte investite nella resistenza ucraina e ripensare il sistema della difesa e sicurezza di un continente segnato dall’aggressione militare russa? La risposta è no, tutt’altro.
L’equilibrio e le parole
Quei concetti vanno rielaborati anche con le risorse necessarie e capendo la paura che popoli e nazioni con una storia in parte diversa dalla nostra, dai polacchi ai baltici, nutrono verso future possibili aggressioni ordinate dal Cremlino.
Con un’aggiunta, che non ha molto senso parlare di difesa integrata senza affrontare prima il nodo di una politica estera comune (ammesso che questo traguardo possa avanzare in presenza del principio antistorico dell’unanimità).
Il punto è che l’Europa teorizzata sin qui non sta affrontando un capitolo tanto decisivo con l’equilibrio che sarebbe necessario. La stessa follia trumpiana di spargere dazi a capocchia (poveri pinguini!) chiederebbe una risposta a modo suo eretica, ma di quelle eresie che ancora in anni recenti ci hanno consentito di reggere l’urto di crisi in potenza disarmanti e devastanti come il Covid.
In questo senso il fine settimana appena archiviato ha consegnato due eventi. Il congresso di un partito di governo, il terzo in ordine di grandezza, convocato nei fatti su una piattaforma che pareva, ed era, di aperta opposizione. E una piazza romana, oggettivamente imprevista per dimensioni, che restituisce senso all’appello unitario di una opposizione capace di trasformarsi in alternativa credibile.
Per quanto riguarda la seconda cosa, se il traguardo è ricongiungere popoli e generazioni a un’Europa che torni a essere la risposta ai bisogni materiali di milioni di persone, famiglie, imprese, altro sentiero da imboccare semplicemente non c’è.
© Riproduzione riservata