Chissà che non serva alla riscossa della Ue il messaggio adulatorio a Donald Trump di Mark Rutte – capo della Nato per servilismo – certo non destinato al pubblico consumo: è la diplomazia Trump Style. Tutti, Spagna a parte, hanno assecondato non il Papi, ma un bamboccione capriccioso che minaccia sfracelli a chi non si genuflette. Tanto, chi oggi s'impegna sarà altrove nel 2035.

Anche sulla guerra commerciale la Ue si piega, sperando di placare il bullo che vuole Troppo e mai abbastanza, titolo del duro libro della nipote, Mary L. Trump. Alle viste c'è un pessimo accordo: le imprese Usa sfuggono alla tassa minima del 15 per cento sui profitti, vigente nella Ue erga omnes. «In cambio» Trump rinuncia al pizzo (Meloni dixit) sugli investimenti negli Usa dalla Ue, purché questa favorisca le sole imprese Usa.

Anziché smontare il risibile ricatto, lo subiamo discriminando gli altri. Resta muta davanti all'accordo la sempre vocale premier, reginetta dei sovranisti, e il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, l'approva; ormai la dignità è un optional. Né si capisce come cambiare le leggi per attuarlo, ha qui scritto Tommaso Di Tanno.

Per la difesa, l'Europa deve darsi una propria capacità militare a servizio di una politica estera unitaria, non appesa agli inaffidabili Usa, non spezzettata in 27 Stati: se non vedremo i tank russi a Bruxelles, rischia la Lituania, porta dell'enclave russa di Kaliningrad.

Il fianco scoperto della Ue, per cui troppi levano un de profundis assai prematuro, è però politico più che militare; essa è un faro di democrazia politica, forza economica, coesione sociale, unico al mondo.

Urta perciò dittatori come Putin e Xi, o gli aspiranti tali: Erdogan e il gangster-in-chief di Washington. Non l'attaccano coi cannoni, ma con parole e atti politici, propri o di servitori, alcuni pagati. Spetta alla politica difenderla e avere per premier un'orgogliosa seguace di Trump, amica di figuri come Orbán e Fico, fa di noi un grave rischio per la Ue: è suicida legarglisi in nome di una storia che egli distrugge.

Se non lo spianta una Corte suprema a vita, né il congresso che – forse ancora per poco – ha in mano i cordoni della borsa, non lo spianterà la nostra statista. Sulla spesa militare davvero necessaria non ci sono numeri magici. Lo Stato maggiore militare della Ue, dicono Marco Buti e Marcello Messori sul Sole 24 Ore, ha appena esplorato le carenze di capacità industriale nel settore. Servirà a capire come «prendere in mano il nostro destino» (Angela Merkel nel Trump1) e decidere la spesa, che sia l'1,5 per cento o il 5,1 per cento, da sostenere; per poter dormire di notte, non perché lo impongono un volubile egolatra o il complesso militare-industriale, negli Usa o nella Ue.

Tante discussioni sul futuro della nostra opposizione hanno un'occasione d'oro per passare dall'orale allo scritto, tagliando nella Ue il nodo gordiano dell'unanimità.

Alzi lo sguardo il Pd anziché sfogliare la margherita sul sostegno a von der Leyen; si coordini con il Pse europeo e presenti una mozione per chiedere, ai governi convinti della necessità, di avviare una cooperazione rafforzata in politica estera e di difesa, simile a quella attuata per l'euro. Le liti sul 3,5 o 5 per cento svanirebbero.

L'iniziativa politica è indispensabile per attrezzare la Ue all’arrivo dei nuovi membri, che bloccherebbero tutto impugnando il diritto di veto. Davanti a una proposta che può divenire il fulcro della prossima campagna elettorale, vedremo che farà il M5S di un Giuseppe Conte, too clever by half, tanto furbo da nuocere agli altri (e a se stesso).

Vedremo quanto concreto sia il suo pacifismo, e quanto invece strumentale a sfidare il Pd sulla leadership, quanto credibile infine la sua opposizione alla destra. Su una tale piattaforma Renzi e Calenda dovranno confluire senza personalismi.

Serve una solenne azione politica, perché politica più che militare è la minaccia. È complicato quanto difficile ma va fatto. Se servono 10 anni, meglio partire subito.

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