È stata definita “disobbedienza gentile” la protesta dei ristoratori e di altri esercenti attività similari – “Io apro 1510” - che si è svolta nella serata di venerdì. I locali sono stati aperti - nell’osservanza dei protocolli e nel rispetto dell’orario di coprifuoco - al fine di esprimere il malcontento delle categorie interessate per chiusure e limitazioni disposte da mesi con Dpcm. Insomma, un’azione di ribellione verso le misure del governo che stanno inducendo molti al fallimento. E tanti sono già falliti.

È stata creata una pagina Facebook, ove campeggia la parola Dpcm – cioè Decalogo Pratico Commercianti Motivati - per esporre le ragioni dell’iniziativa e raccogliere adesioni. Al governo i ristoratori chiedono un cronoprogramma per le riaperture, un intervento sulle locazioni dei locali, l’erogazione di ristori adeguati, un alleggerimento del costo del lavoro sotto il profilo contributivo per favorire la ripresa del settore.

Di fatto, si è voluta porre in essere una sorta di “disobbedienza civile”, con la violazione di disposizioni vigenti a fini dimostrativi, in trasparenza, cioè con una condotta pubblica e palese, mediante assunzione delle conseguenti responsabilità giuridiche.

Anzi, chi ha alzato le serrande andrà anche oltre, facendosi carico di eventuali iniziative sanzionatorie nei riguardi dei clienti.

Le proteste contro i provvedimenti dell’autorità pro tempore, se svolte senza intemperanze, sono sempre sacrosante, specie oggi, da parte di chi patisce più di altri la crisi, viene “ristorato” in maniera spesso tardiva e insufficiente ed è destinato a chiudere definitivamente se la crisi pandemica si protraesse troppo a lungo. E la disobbedienza civile ha una tradizione rispettabile, poiché grazie ad essa, nel tempo, sono stati raggiunti traguardi che hanno determinato un’evoluzione giuridica e sociale.

Violare la legge è servito a volte per incidere sullo status quo e portare all’attenzione delle persone e del legislatore la necessità di rivedere le scelte fatte su temi di rilievo per tutti. La disobbedienza civile, insomma, può anche determinare una forma di progresso sul piano sociale e normativo.

Tuttavia, l’iniziativa dei ristoratori nel pieno della pandemia appare fuori luogo.

15/01/2021 Firenze, protesta dei ristoratori #ioapro, i ristoratori milanesi riaprono i loro locali a cena come atto di disobbedienza civile. Nella foto il controllo dei carabinieri

Non si vuole affermare che ci si debba astenere da qualunque forma di dissenso. E di certo è meglio disubbidire alla luce del sole, assumendosene la responsabilità, che  trasgredire nell’ombra, sperando di farla franca.

Ma nel corso di un’emergenza epidemiologica della portata di quella attuale l’anarchia dimostrativa di singoli individui o di qualche categoria può sfociare in un esito pericoloso.

Da un lato, perché la salute è una dimensione non solo individuale, ma anche collettiva – come dispone la Costituzione – e uno o più individui non possono adottare iniziative potenzialmente nocive della salute della comunità, tanto da essere vietate dal legislatore.

Dall’altro lato, la protesta dei ristoratori, se pure effettuata nel rispetto di regole di contrasto alla propagazione del virus, rischia di ingenerare proteste similari da parte di altre categorie, e nulla assicura che poi non si ingenerino conseguenze “sanitarie”.

La via da seguire

Se il legislatore ha disposto la chiusura di certe attività potenzialmente rischiose, si deve dimostrare al legislatore stesso che tali attività possono essere svolte in sicurezza. Il fatto che il governo non dimostri con evidenze e dati affidabili la fondatezza delle proprie scelte, comprovando che sono adeguate e proporzionate, non può indurre ad azioni dimostrative che seguono la stessa strada.

Può procedersi a impugnative, per far sospendere in via di urgenza e poi annullare provvedimenti che si reputino non conformi a principi fondamentali. Ma si deve sempre evitare di produrre uno sfregio giuridico, lesivo degli interessi di altri soggetti, per contrastare le decisioni dell’autorità.

Si rischia di passare dalla parte del torto anche se si ha ragione. E ristoratori ed esercenti similari hanno sacrosante ragioni: attività economiche che devono svolgersi in continuità per coprire i costi fissi patiscono misure “a elastico”, come quelle disposte da settimane. Non è in questo modo che si può salvare l’economia. E quando un’attività economica si interrompe ciò determina un impoverimento per tutti, non solo per chi fallisce.

Non serve ulteriore confusione

Le adesioni a “Io Apro 1510” sono state scarse. Le principali associazioni di categoria non hanno dato il proprio supporto e questo ha inciso sulla (non) riuscita. Nella confusione con cui la pandemia viene gestita è comprensibile sorgano iniziative che - pur essendo giustificate - creano solo confusione ulteriore.

La maggior parte dei ristoratori ha capito che era meglio evitarla. Mentre il governo ancora non capisce la necessità di una strategia chiara nelle motivazioni dei propri interventi.

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