Una settimana fa il Levada Center, solitamente citato per essere l’istituto di ricerca sociologica più attendibile metodologicamente e indipendente dal governo russo, ha pubblicato i risultati di alcune inchieste che hanno rilevato le preoccupazioni principali dell’opinione moscovita nel mese di giugno.

Il campione rappresentativo degli abitanti di Mosca si lamenta principalmente di questioni legate alla quotidianità del residente che deve affrontare i problemi di una metropoli, ma è soddisfatto dell’accessibilità dei trasporti (54 per cento), dello sviluppo delle infrastrutture sociali (45 per cento) e della qualità dell’ambiente della città (44 per cento). Le uniche note dolenti riguardano «la lontananza dal centro (19 per cento), la cattiva situazione ambientale (15 per cento) e la qualità del patrimonio abitativo (14 per cento)».

Tra i principali problemi di Mosca gli intervistati citano: «Molti visitatori, migranti (18 per cento), ingorghi, molte macchine (16 per cento) e prezzi in aumento, inflazione (14 per cento)» mentre un quarto dei rispondenti indica i problemi infrastrutturali e un quinto non è preoccupato per nulla.

In riferimento alla domanda sulle conseguenze delle sanzioni occidentali, il 42 per cento dei rispondenti si dichiara “preoccupato”, il 19 per cento è “molto preoccupato” e il 23 per cento è “piuttosto preoccupato”; meno di un terzo ha incontrato difficoltà nell’acquisizione di beni familiari pochi intervistati rimpiangono alcuni brand come l’Ikea (26 per cento), Mc Donald’s (14 per cento), Zara (10 per cento) e alcune marche di abbigliamento e smartphone.

L’abbandono della Russia da parte delle società estere non preoccupa, infatti, eccessivamente gli intervistati (27 per cento). L’opinione prevalente è che le sanzioni possano costituire un’opportunità di sviluppo del paese (47 per cento), rispetto al 23 per cento di coloro che non lo ritengono possibile; solo il 26 per cento sostiene che «le sanzioni causeranno danni significativi alla Russia».

I moscoviti sono più preoccupati «per l’abbandono delle aziende che producono automobili e materiali correlati (12 per cento), elettronica ed elettrodomestici (8 per cento)». Inoltre, i moscoviti in questi mesi hanno avuto «difficoltà nell’acquisizione di prodotti alimentari (14 per cento), medicinali e articoli per l’igiene personale (30 per cento) ed elettrodomestici (23 per cento)».

Capacità di adattamento

Tuttavia, i moscoviti, come i russi in generale, sanno adattarsi abbastanza facilmente e velocemente alle situazioni di crisi e cercano di vedere il “bicchiere mezzo pieno”, cercando marche sostitutive (il 65 per cento) in tutti i settori. Ciò che emerge con estrema chiarezza nel sondaggio è che gli intervistati sono molto fiduciosi (81 per cento) sulla possibilità concreta di sostituire le merci importate con quelle domestiche mentre sono più scettici sulla produzione di macchinari di elettronica e di automobili (41 e 43 per cento rispettivamente).

Un segnale in questa direzione è la stima riportata dal quotidiano Kommersant’ sul controllo cinese del 90 per cento del mercato russo dei cellulari Vivom Mi, Tecno, Infix, iTel, Nokia (proprietà cinese) e Realme.

Quest’ultimo è passato da mezzo milione nel primo semestre 2021 a 1,1 milioni nei primi mesi del 2022. Inoltre, il calo delle esportazioni ha determinato un aumento dell’offerta della benzina sul mercato interno russo, registrando un calo del prezzo della benzina di quasi il 9 per cento ai primi di luglio.

Anche i prezzi dei computer, smartphone e notebook si sono abbassati del 30-50 per cento; nella regione (oblast’) di Leningrado il mercato delle transazioni immobiliari per abitazione ha avuto, invece, una contrazione del 30 per cento rispetto al 2021.

Insomma, sono solo sondaggi? Sì, ma chi conosce la società e la cultura russa ha sempre avvertito che il popolo russo non avrebbe avviato una “rivoluzione dal basso” contro il Cremlino dinanzi ai primi problemi economici derivati dalle sanzioni. E la violenza e la sofferenza tragicamente avanzano.

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