Una presidenza Le Pen? L’interrogativo ha un senso e interrogarsi sulle conseguenze che potrebbe comportare è lecito se non doveroso, ma la risposta rimane al momento negativa e, al di là degli inevitabili esorcismi politico-giornalistici delle ultime ore, non è improbabile che una riflessione su questo scenario sia destinata a rimanere un semplice esercizio intellettuale.

Partiamo dai dati. Quelli di sondaggio continuano a ipotizzare un secondo turno Emmanuel Macron-Marine Le Pen con una vittoria di stretta misura del primo attorno al rapporto 52-48 per cento. La situazione che fotografano, ovviamente, non tiene conto dell’evoluzione degli umori dell’elettorato quando il primo turno si sarà consumato.

A quel punto conteranno le cifre raggiunte dai singoli candidati e le dichiarazioni che ciascuno di essi farà per suggerire ai propri sostenitori di orientare il proprio voto sull’uno o sull’altro dei protagonisti del ballottaggio.

E a quel punto le cose potrebbero iniziare a cambiare, perché, se è prevedibile che Valérie Pécresse si pronuncerà per Macron, e che così faranno quasi tutti gli esponenti della sinistra, Verdi inclusi, con la sola incognita di Mélenchon, che già cinque anni fa non aveva voluto prendere posizione, ci sarà da vedere cosa dirà Éric Zemmour. Se lo dirà, e soprattutto con quali toni e con quale faccia lo farà.

Perché non è da escludere che, data la ruggine creatasi tra i due durante la campagna, il polemista non abbia alcuna voglia di dare una mano a Marine Le Pen, e anzi auspichi che l’astensione di molti suoi elettori azzoppi la rivale al momento decisivo.

Le due incognite

French far-right leader Marine le Pen, wearing a protective face mask, stands at the statue of Joan of Arc during a ceremony Friday, May 1, 2020 in Paris. Far-right militants usually gather at the statue for their annual May Day march. (AP Photo/Thibault Camus)

Ci sono infatti due fattori da prendere in considerazione in un quadro prospettico.

Da un lato, più immediatamente, le proporzioni che assumerà l’astensione, sia al primo che al secondo turno. Le indagini demoscopiche fanno prevedere un tasso di non voto maggiore di sempre. Chi favorirà? Nei tempi recenti, la diserzione dalle urne ha penalizzato il Rassemblement national, ma c’è chi pensa che questa volta colpirà soprattutto l’assai poco popolare presidente uscente, di cui pare che il 70 per cento dei francesi non gradisca affatto l’immagine altezzosa e i comportamenti narcisistici, al punto da auspicare di non vederlo riconfermato.

Una seconda questione rilevante riguarda le elezioni legislative di giugno. Senza una maggioranza, o almeno un cospicuo appoggio, parlamentare, un presidente in Francia non può governare.

E se il partito di Marine Le Pen non appare in buona forma, anche perché la sua leader lo ha volutamente indebolito sul piano organizzativo per non avere intralci alla sua strategia moderatrice, Zemmour vanta invece centomila iscritti alla sua formazione nuova di zecca, Reconquête.

Le due parti sapranno e vorranno trovare un accordo per liste comuni o ciascuna correrà da sola? Nella seconda ipotesi, la catastrofe si può ritenere già annunciata e la presenza di un’area elettorale che potrebbe valere fra il 30 e il 35 per cento sarebbe annichilita in parlamento.

Marine all’Eliseo 

Gli intralci, dunque, sono molti e seri. Ma se, malgrado tutto, l’inimmaginabile diventasse realtà, quali conseguenze avrebbe lo scenario “Marine all’Eliseo”? Le congetture, sul punto, potrebbero fiorire. Ci sarebbero disordini di piazza, scatenati dall’ultrasinistra? Assisteremmo di nuovo ad una mobilitazione dai toni bellicosi come accadde quando, nel 2002, Le Pen padre si guadagnò il ballottaggio? Non è impossibile, ma di sicuro le proporzioni sarebbero più contenute.

E in politica estera? Qui, più che guardare cosa farebbe Le Pen all’Unione europea – probabilmente modererebbe subito i toni delle passate e in parte ancora presenti polemiche – c’è da guardare cosa farebbe l’Ue a lei.

I toni di riprovazione e rammarico di sicuro non mancherebbero. Prevarrebbe poi il realismo, da entrambi i lati, o si andrebbe al braccio di ferro, con moniti e minacce di sanzioni, come ai tempi dell’ascesa di Haider in Austria? In un momento così delicato, l’apertura di un contenzioso non gioverebbe a nessuno.

E, sempre con l’enorme incognita di quale potrebbe essere il rapporto fra la presidente e un’Assemblea nazionale da lei incontrollabile, non è improbabile che ci si manterrebbe su un piano di reciproche diffidenze in attesa di ulteriori sviluppi.

C’è poi chi si chiede se, con Le Pen ai vertici, la posizione della Francia rispetto alla guerra in corso subirebbe svolte o modifiche.

L’unica ipotesi credibile che si può fare è che sul tema delle sanzioni alla Russia l’ipotetica neo-presidente avanzerebbe dubbi e consiglierebbe prudenza.

È difficile pensare che andrebbe oltre, anche perché fra chi non le sarebbe necessariamente ostile ci sono i paesi del gruppo di Visegrád, e fra essi la Polonia, che già si è distinta nei giorni scorsi con pesanti giudizi sull’operata, giudicato troppo accondiscendente, di Macron. Metterseli contro non sarebbe un buon affare.

Quindi, in questo abbozzo fantapolitico, non è il caso di colorare la scena con colori apocalittici. Non siamo negli anni Trenta, e non sarebbe male che tutti ne prendessero finalmente atto.

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