Se si fa l’esegesi delle parole è difficile dissentire con Stéphane Sejourné, segretario di Renaissance, il partito del presidente francese Emmanuel Macron quando dice: «Si deve denunciare la loro incompetenza e la loro impotenza (loro, cioè della destra italiana, ndr). Meloni fa tanta demagogia sull’immigrazione clandestina, la sua politica è ingiusta, disumana e inefficace». Cutro è il simbolo della disumanità, dal punto di vista delle idee di chi governa a Roma l’inefficacia è dimostrata dall’aumento degli sbarchi, ingiusto è sballottare persone stremate in mare per ore supplementari e mandarle in porti lontani così come riproporre decreti simil-Salvini che confliggono con i valori di accoglienza su cui si è fondata l’Europa.

Non si può invece concordare con lui quando afferma: «L’estrema destra francese prende per modello l’estrema destra italiana». Semmai è storicamente vero il contrario. Marine Le Pen, e prima di lui suo padre Jean-Marie, sono stati modelli da cui succhiare insegnamenti anzitutto per la Lega di Matteo Salvini e poi anche per Fratelli d’Italia che, temporalmente, viene assai dopo il Front National, un apripista nel Continente quando a battaglie contro gli immigrati.

Oltre l’esegesi, c’è però la politica. A nessuno sfugge il panico dilagante nei dintorni dell’Eliseo per la crescente impopolarità del presidente, per i sondaggi che, si votasse oggi, porterebbero Marine Le Pen sulla poltrona più alta della République. E allora il giochino scoperto è quello di usare l’Italia come uno specchio rovesciato, addossare tutte le colpe della loro inadeguatezza a gestire i flussi agli sciagurati cugini di qua delle Alpi, quelli che hanno mandato una post-fascista a palazzo Chigi, tanto per solleticare la memoria collettiva del paese profondo che vive ancora come un vulnus la dichiarazione di guerra di Benito Mussolini (era 83 anni fa!). Il sottofondo inespresso è dunque un interrogativo: volete fare la fine dell’Italia, volete la Francia governata dai fascisti? E sa tanto di preludio per una lunga campagna elettorale in vista delle Europee del 2024 con l’incubo del sorpasso dell’estrema destra sui moderati.

Il paradosso di tutta questa vicenda è che il primo a inseguire la destra lepenista sulla linea dura verso l’immigrazione è stato proprio Emmanuel Macron, fin dal suo primo mandato nel 2017. La Francia terra d’asilo grazie ai precetti dell’integrazione dei forestieri attraverso l’ assimilazionismo (in contrasto con il comunitarismo di stampo britannico) è una favola terminata dapprima con la crisi economica del 2008 e poi con gli attentati della metà degli anni Dieci del nuovo millennio, Charlie Hebdo, Bataclan, Nizza, la partenza di 1.500 immigrati di seconda generazione verso il “paradiso in terra” promesso dallo Stato islamico a cavallo tra l’Iraq e la Siria. Tutti elementi che sono stati il lievito per il crescere delle tendenze xenofobe con le quali si è gonfiato il consenso dei partiti all’estrema destra. E convinto di conseguenza i moderati a spingersi più in là per arginare l’emorragia. Da qui la militarizzazione delle frontiere, gli sgombri a manganellate degli insediamenti dei sans-papier, l’uso disinvolto delle forze dell’ordine contro i profughi, ormai tema cruciale da diverse campagne elettorali a questa parte.

La Meloni, immaginiamo ferita nell’orgoglio, ha comunque fatto bene ad ignorare o quasi il nuovo attacco proveniente da Parigi. E si spera sia il segno di un pragmatismo a-ideologico. Se davvero vuole mettere il tema migranti al centro dell’agenda europea per superare il trattato di Dublino e puntare a una redistribuzione dei carichi nell’intero Continente, ha bisogno di Macron, uno dei pochi che si è detto disponibile a discuterne. Avrebbe anche bisogno di entrare in dissenso coi i suoi amici del Paesi sovranisti dell’Est Europa, invece refrattari a qualunque compromesso. Del resto, lo dice la parola stessa, l’ internazionale sovranista è un ossimoro. Ciascuno bada a casa propria, alla faccia della solidarietà europea.

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