Il risultato principale della Cop 27 è stato l’istituzione di un fondo per compensare le vittime dei danni arrecati dal cambiamento climatico. Come hanno detto molti, una parte della giustizia climatica ancora disattesa finalmente è stata riconosciuta. È un risultato positivo in una conferenza difficile, anche se molti elementi dovranno ancora essere chiariti (quanto e chi pagare, dove trovare le risorse e così via). È stata anche una vittoria politica dei paesi africani, delle piccole isole, di alcune economie emergenti.

Il costo del cinismo

Ma è una vittoria che comporta dei costi, e non mi riferisco a quelli sostanziali (i soldi per compensare le vittime sono dovuti). Sono costi ideologici o simbolici: questo risultato potrebbe legittimare una concezione limitata della giustizia climatica e lanciare un messaggio pessimista e cinico.

Concentrarsi sulla compensazione delle perdite e dei danni della crisi climatica può indurre a distogliere lo sguardo dalla mitigazione, come si chiama in gergo lo sforzo di ridurre le emissioni future, dando per scontato che il cambiamento climatico pericoloso sia avvenuto, stia avvenendo ed avverrà, e che nulla si possa fare per evitarlo. È come se considerassimo ineluttabile il cambiamento del clima e i danni che ne conseguiranno. Insistere sul risarcimento dei danni è tipico di una certa mentalità – la mentalità del diritto civile o del diritto privato. L’idea è che certi danni si possano sempre riparare pagando le vittime.

Da un lato è giusto che chi è responsabile paghi le conseguenze delle proprie azioni, risarcendo le vittime: è il principio del ‘chi rompe paga’. Dall’altro l’idea che si possa comunque compensare in denaro le vittime delle proprie azioni suggerisce che non ci siano danni irreparabili e che tutto si possa risolvere pagando. Molte delle politiche climatiche di cui più si discute funzionano così.

Se viaggiamo in aereo, potremo compensare le emissioni pagando per progetti di rimboschimento. Anzi, come ha suggerito fra gli altri Stefano Mancuso, se piantiamo abbastanza alberi potremo riassorbire, almeno per un po’, le emissioni in eccesso che abbiamo creato, guadagnando tempo per trovare delle soluzioni più durature. E, appunto, possiamo stanziare soldi per favorire l’adattamento delle vittime delle catastrofi climatiche che noi stessi abbiamo creato. Possiamo calcolare chi perderà e verrà danneggiato dal cambiamento climatico e rifonderlo. Ma questo vuol dire trattare azioni che causeranno morti e distruzione come semplici danni che possiamo sempre ripagare o risolvere con qualche idea ingegnosa – come se non esistesse né morale né diritto penale, per l’appunto, ma tutto fosse questione di diritto civile o privato, o di tecnologie e gestione dell’ambiente.

L’illusione del risarcimento

Credere che i torti che facciamo agli altri si possano riparare pagando, e tutto finisca lì, è una visione sottilmente pericolosa, che può lavarci la coscienza e incentivarci a continuare. Immaginiamo di picchiare qualcuno e che l’apprendista stregone ci proponga una soluzione: per esempio, una prodigiosa medicina capace di rendere le nostre vittime immuni al dolore e allo spavento. Forse ne saremmo sollevati. Ma magari saremmo anche più tentati di ricorrere di nuovo alla violenza. Perché controllarsi, se poi possiamo usare il farmaco miracoloso e tutto torna a posto? Perché smettere di usare combustibili fossili, se possiamo pagare eventuali vittime e continuare a farlo? Ma questa è un’illusione, una fonte di corruzione morale: danneggiare ingiustamente gli altri richiede un risarcimento, ma esige soprattutto di riconoscere l’ingiustizia e di fare di tutto per prevenirla.

Probabilmente, i paesi responsabili del cambiamento climatico cercheranno di ostacolare il nuovo fondo di compensazione, riducendo le cifre o il numero degli aventi diritto. L’opinione pubblica e gli attivisti dovrebbero controllare ed evitare un esito del genere. Ma, anche di fronte a un’inaspettata generosità dei paesi responsabili dell’eccesso di emissioni, dovremmo comunque avere chiaro che i soldi non sono tutto.

Le conseguenze del cambiamento climatico hanno e comporteranno perdite irreparabili, in termini di biodiversità, qualità della vita e diseguaglianza, a cui dovremmo reagire con rammarico e agendo seriamente per diminuire o evitare danni futuri. La mitigazione è la risposta moralmente e politicamente corretta al cambiamento climatico, è il cuore della giustizia climatica, anche quando la compensazione e l’adattamento siano pragmaticamente e politicamente dovute. La giustizia climatica non può passare solo per conferenze che rinnovano trattati – come sono essenzialmente le Cop. Dovrebbe realizzarsi forse anche in commissioni e corti di giustizia internazionali, che rendano chiare le responsabilità e impongano condotte virtuose.

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