Negli Stati Uniti l’informazione locale non è mai stata “minore” nel triangolo formato da potere statale, economico e mediatico, esprimendo il punto di vista dei soggetti piccoli e diffusi anzi che quello dei titani del potere. La pubblicità delle imprese circostanti e gli acquisti dei lettori offrivano una solida base di mercato. Inoltre, i mecenati del posto si accollavano il ruolo di proprietari volendo, una volta accumulati i soldi, farsi amare dai residenti urbani e del contado. 

Più brutalmente, in Italia, dove il mercato dei lettori è stato sempre assai ristretto, molte testate non sarebbero mai nate se non contando sulle tasche profonde di qualcuno desideroso di sopire e spegnere i venti locali ostili alla bottega. Massimo Mucchetti in Licenziare i padroni?, ricorda l’Agnelli, edizione 1933, che mentre Mussolini gli offriva la rete telefonica finita, a causa della crisi, nelle mani dello stato, rifiutò quel mezzo, ritenendolo destinato a pochi eletti. E chiese invece, già che c’era, la Gazzetta del popolo che nel natìo Piemonte guastava il monopolio de’ La Stampa già di proprietà della famiglia.

Se gli USA piangono...

Negli Stati Uniti l’informazione stampata va scomparendo, schiacciata da Internet e dai social e quella locale, in particolare, non riesce a trovare un mercato vero nell’online. Un’inchiesta del Financial Times racconta che rispetto al 2004 le pubblicazioni sono passate da 9mila a 6mila500, che 200 contee su 3.143 non ne hanno alcuna e due terzi non possiedono un quotidiano locale.

Fra i superstiti è esemplare il caso della testata più antica, l’Hartford Courant (Connecticut), fondato nel 1764. Aveva ai tempi d’oro quattrocento dipendenti, oggi appena qualche decina e appartiene a un proprietario-squalo, di quelli che acciuffano aziende in profonda crisi per fare soldi con gli immobili (la sede del giornale) e nel frattempo, quando si tratta di un giornale, rimpinzandolo di pubblicità, interpolata da pochi servizi comperati bell’e fatti.

Il corpo redazionale è ovviamente ridotto a un pugno di giovani a bassa paga e senza orario. Mentre così si brucia ogni residuo rapporto con il pubblico, sparisce ogni velleità di replicare a livello locale quanto è riuscito al New York Times, che è passato con successo dalla carta all’online per l’opposta via di accrescere ulteriormente la qualità del contenuto e, grazie a questo, ottenere abbonamenti fra il pubblico riflessivo dell’intero mondo. 

Non rosea, ma diversa pare la situazione delle stazioni radio e tv locali Usa. Anche per queste i social sono rivali potenti che drenano la pubblicità a tutto spiano, ma le stazioni locali americane sono, fin dagli anni Venti, il fondamento, anche tecnico, dell’intero sistema dei mass media americani che non nascono top-down. Aggiungi che fare la radio costa meno che stampare e che la voce che senza tregua riempie e spiega la giornata crea bolle d’eco simili ai social, essendo compagne fisse nelle code in autostrada come del lavoro artigiano o casalingo.

Non per caso è proprio nella realtà locale che, siano tv, radio o entrambe, hanno messo radici gli arruolatóri di fedeli, dal fondamentalismo evangelico ai complottisti d’ogni risma. L’efficacia del medium locale audiovisivo resta dunque, social o non social, assai potente come emerse nel 2016, quando Donald Trump, grazie a quella semina, ha vinto in contropiede e come si percepisce dalla gara reazionaria in corso fra i candidati repubblicani.

...l’Italia non ride

In Italia le testate giornalistiche locali sono per lo più diramazioni di gruppi nazionali né pare che al momento possano nascerne di nuove e autonome, salvo iniziative d’altro tipo, dalla free press distribuita in metro a saltuari giornaletti di quartiere piazzati gratuiti presso i bar.

Quanto alle radio e tv locali, la situazione, rispetto agli Usa, è da sempre assai più grama perché sono sorte deboli ed anarchiche e quel che ne resta campa sui residui di mercato del duopolio Rai-Mediaset che da decenni (con La7 a far foglia di fico) si spartisce, talvolta litigando, sia le audience sia i ricavi della tv tradizionale, nulla lasciando ad altri perché il Biscione dispone di una quantità di reti e spot davvero immane capace di contendere alla tv di campanile anche gli avvisi del droghiere.

Sono problemi arcinoti da decenni, ma nessuno, a partire dagli stessi proprietari dell’emittenza locale, pensa che possano mai essere risolti. Però, fra tante cose che ingolfano le urgenze del paese, non sarebbe male che la Commissione lavori pubblici del senato, che ha iniziato a sfogliare le proposte di riforma della Rai, alzasse lo sguardo al panorama complessivo e desse un contributo ad alleviare la crisi del giornalismo nazionale dando una sistemata razionale al settore dei mass media elettronici locali, anche togliendo qualche petalo dalla bocca del Biscione.

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