È arrivato il nuovo Dpcm, preannunciato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte in Parlamento. Per tutto il territorio nazionale - al di là di specifiche situazioni di rischio di singole regioni - sono previste restrizioni maggiori di quelle sancite dal decreto del 24 ottobre. Tra le altre cose, la capienza nei trasporti pubblici è ridotta dall’80 al 50 per cento, nonostante la ministra dei Trasporti De Micheli avesse assicurato che la capienza precedente rendesse impossibile i contagi. Resta la domanda: chi (e come) potrà controllare il limite di riempimento?

Dalle 22.00 alle 5.00 ci si può spostare solo per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o motivi di salute. A parte il fatto che sarebbe meglio spiegare in quale politica sanitaria si inserisca il “coprifuoco”, tornano i dubbi (e la discrezionalità nei controlli) circa l’interpretazione della “necessità” di spostarsi. Torna pure l’autocertificazione ed è ancora cartacea: si lamenta sempre l’uso della carta nella pubblica amministrazione, ma nei mesi scorsi neanche quest’attestazione si è pensato di digitalizzare.

Nessun ristoro per gli studenti

A proposito di mancata digitalizzazione, il nuovo Dpcm prevede che le amministrazioni assicurino le percentuali più elevate possibili di lavoro agile: si sconteranno le conseguenze del non averla implementata nei mesi scorsi, per rendere più efficiente il settore pubblico.

Ancora riguardo alla digitalizzazione, si dispone la didattica a distanza per le scuole superiori, che nelle zone più a rischio si estenderà anche a classi inferiori: dopo un’estate passata a dibattere di banchi con le ruote e a garantire scuole aperte, si torna al punto di partenza.

Sarebbe stato meglio potenziare la tecnologia, cablando le zone ancora scoperte, fornendo agli studenti meno abbienti i necessari mezzi tecnici e altro. Peraltro, sorge il sospetto che si chiudano le scuole con disinvoltura perché per gli studenti non è previsto alcun “ristoro”.

Il Dpcm non rinuncia a nuove “forti raccomandazioni” - tra l’altro, di non muoversi per tutto il giorno, se non per i citati motivi – il cui uso è stato stigmatizzato per i decreti precedenti: cumulare sia divieti e obblighi giuridici sia sentiti inviti alimenta la confusione.

Quasi lockdown 

Le limitazioni previste per tutto il territorio nazionale diventano più stringenti nelle regioni con un livello di rischio più alto: è vietato ogni spostamento in entrata e in uscita, nonché verso un comune diverso dal proprio, salvo non sia motivato dalle note esigenze comprovate. Per le regioni con un livello di rischio ancora più grave, invece, la situazione è sostanzialmente simile a quella del lockdown primaverile, con il divieto di spostamento all'interno dei territori stessi e la sospensione di attività commerciali, fatta eccezione per la vendita di generi alimentari e altri indicati in un apposito allegato. Ma sarà consentito svolgere attività motoria “in prossimità della propria abitazione”, ed è probabile che ciò necessiterà chiarimenti - con circolari o FAQ - come per analoghe regole nella “prima ondata”.

Di nuovo, pare che l’esperienza abbia insegnato poco o nulla in tema di certezza del diritto.

Come chiarito da Conte, le diverse misure sono calibrate in relazione a tre fasce corrispondenti ad altrettanti scenari di rischio, elaborati da ministero della Salute, Istituto superiore di sanità, Inail ecc. nel rapporto Prevenzione e risposta a Covid-19. Le regioni sono inserite nell’una o nell’altra fascia (scenario di tipo 3 o di tipo 4) con ordinanza del ministro della Salute, sentiti i presidenti delle regioni interessate, in relazione al coefficiente di rischio raggiunto, previa valutazione di 21 parametri: tra gli altri, numero di casi sintomatici per mese; numero dei casi con ricovero ospedaliero; numero di strutture residenziali socio-sanitarie che riscontrano almeno una criticità settimanale; percentuale di tamponi positivi; occupazione di posti letto di area medica o terapia intensiva.

Di certo, è apprezzabile che le misure siano modulate con riguardo alla differente situazione delle singole regioni. Tuttavia, da un lato, ci si chiede se il peso dei vari indicatori sarà diverso – come ci si aspetterebbe - a seconda dell’importanza attribuita a ciascuno di essi, procedendo poi a un calcolo ponderato. Dall’altro lato, si nutrono dubbi sulla quasi automaticità – evidenziata da Conte in Parlamento - del meccanismo in base al quale una regione sarà inserita nell’una o nell’altra fascia: se gli indicatori sono “oggettivi”, non altrettanto oggettivo appare ciò che è sottostante agli indicatori stessi.

Risorse scarse

Questi ultimi, infatti, sono sostanziati dai dati comunicati dalle singole regioni a un centro di coordinamento: esse devono raccoglierli, processarli e inviarli a chi ha poi il compito di interpretarli, correlarli, farne la sintesi e decidere l’area di rischio ove si colloca la regione. L’esattezza degli indicatori si fonda, dunque, sulla idoneità di ogni regione nel rilevare i relativi dati tempestivamente, con esattezza ed esaustività. Ma sono note le differenze tra regioni in termini di efficienza, e tali differenze possono incidere non solo sulla loro preparazione a fare quanto serve per l’epidemia, ma anche sulla loro diversa capacità di verificare quelle situazioni critiche che si traducono poi negli indicatori. Ciò potrebbe falsare la pretesa oggettività degli indicatori stessi e, di conseguenza, il meccanismo di inserimento di una regione nell’una o nell’altra fascia di rischio.

Siamo in piena seconda ondata, impreparati - come più volte detto - nonostante essa fosse prevista. Siamo al quarto Dpcm in quattro settimane, con misure che cambiano di continuo e precludono alle persone di programmare pure l’essenziale. Se è vero che “nessuno nasce imparato”, l’impressione è che, dopo nove mesi di “lezioni”, ancora si navighi a vista: continuano a mancare dati ufficiali circa gli impatti delle diverse attività sui contagi, per vagliare l’efficacia delle azioni messe in atto e semmai adottare azioni più mirate.

Peraltro, le misure disposte necessitano che i cittadini collaborino al loro funzionamento. Purtroppo, essi hanno ormai risorse scarse – mentali e materiali – per affrontare un nuovo periodo di crisi e sono poco propensi a riporre fiducia in governanti che ancora paiono non sapere a che santo votarsi per scongiurare il peggio. Sarà un inverno molto lungo.

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