Ai progressi nell’Unione europea nuocciono le diffidenze reciproche fra Nord e Sud; l'imprevidenza che spesso dimostriamo induce i “frugali” a reazioni simili a quelle di una persona matura a condotte adolescenziali.

Il nostro dibattito pubblico affronta i temi importanti solo tardi, a volte troppo tardi.

È successo sul Mes, avversato pur se già approvato, sulla lotta al Covid, sui programmi per il Next Generation Eu.

Nè ci turba la montagna di crediti deteriorati, o Non Performing Loan (Npl), che emergeranno fra pochi mesi, alla scadenza di moratorie e garanzie varie.

Eppure la montagna rischia di strozzare l'economia. Lo si è qui scritto il 28 dicembre scorso, illustrando l'idea di Mario Draghi e Raghuram Rajan: per uscire dall'emergenza, distinguiamo fra imprese sane e malate.

Bene finanziare la riconversione dei lavoratori, male buttare denaro pubblico nella fornace. Non c'è solo Alitalia, anche il piano per “salvare” il polo dei compressori ex Whirlpool è un caso di scuola: è una produzione a margini minimi, bisognosa di forti investimenti per restare competitiva, inadatta a un grande paese avanzato.

Invitalia, finanziaria pubblica, vorrebbe salvarla col 49 per cento del capitale; è un errore, umano sì, ma tale resta. E chi pagherà il 51 per cento, magari le regioni?

Lottiamo sulla definizione di default, o sulle regole per passare gradualmente a perdita i Npl.

Crediamo di proteggere le nostre imprese, ma sono battaglie di retroguardia, il fronte è già altrove.

La realtà non si conforma ai nostri desideri; va affrontata guardando avanti, non nello specchietto retrovisore!

Le divergenze interne sono una mina che potrebbe far deflagrare l'Eurozona; aumentano per ragioni attinenti soprattutto all'economia reale come la produttività totale dei fattori.

Conta però anche l modo in cui si finanzia. È partita l'unione bancaria, ma l'Eurozona resta “segmentata” per nazioni.

La liquidità non si muove liberamente fra Paesi; i “forti” temono che la loro sia ingoiata in quelli “deboli”, donde potrebbe non tornare più. Perciò non si fondono banche di Paesi diversi.

La liquidità del ramo tedesco di Unicredit non passa all'Italia perché Francoforte teme che le nostre più fragili condizioni la attirino nel gorgo fra solvibilità delle banche e dello Stato che le ospita; lo spread è smussato sì, ma sempre vivo.

Servirebbe un'assicurazione europea dei depositi, per allineare i costi finanziari di imprese diverse con uguale merito di credito, ma i paesi frugali vogliono prima il risanamento delle finanze statali; posizione non solidale, ma nemmeno bislacca.

Cosa farebbe la Lombardia se la Sicilia chiedesse nuovi fondi pubblici?

Senza attardarci a difendere fortini abbandonati, sosteniamo invece l'idea di società nazionali di gestione di Npl; esse dovrebbero acquistarli con criteri omogenei, con oneri finanziari uguali, perché garantiti (o finanziati) a livello di Eurozona.

Non sarebbe uno stratagemma per addossare ad altri le nostre perdite: alla fine, ognuno sosterrebbe le proprie, solo sarebbero garantite valutazioni omogenee e i costi finanziari sarebbero legate al rating dell'Eurozona, non dei singoli Stati.

È un piano realistico, cui servono forti spinte politiche ed alleanze con altri paesi, per superare opposizioni che sarebbero irragionevoli, perché motivate da antiche diffidenze e prive di motivazioni reali.

Via dunque lo sguardo dallo specchietto, ce lo chiedono ragazzi e ragazze che cercano altrove quanto qui è loro negato.

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