Le elezioni comunali hanno confermato l’effetto Meloni mentre non hanno mostrato l’effetto Schlein. La neo-segretaria del Pd ha giustamente ricordato che ci vuole tempo. Ma per fare che cosa? Questa è una domanda alla quale è difficile dare una risposta precisa. I verdetti delle urne ci segnalano alcune tendenze del comportamento di voto di cui tener conto.

“Voto di appartenenza”

La prima riguarda l’esaurimento del “voto di appartenenza”. Viene meno cioè quell’identificazione di fondo tra l’elettore e una forza politica che si forma nel contesto familiare e nel territorio in cui si vive, e che si mantiene nel tempo anche a prescindere dall’approvazione o meno di determinate politiche. Questo è stato a lungo il voto predominante nelle regioni “rosse” del centro e in quelle “bianche” del nord-est. Da tempo non lo è più.

I casi di Pisa, Siena, Massa e anche Ancona suggeriscono che il Pd, e la sinistra, non potranno più contare su questa riserva incondizionata, per il venir meno di quel contesto particolare che la alimentava. E non basta dunque un segnale di mutamento anche vistoso negli equilibri del Pd a riportare a casa gli elettori prevalentemente appartenenti ai gruppi più disagiati.

“Voto di scambio”

Più complicata è la valutazione del “voto di scambio”, basato sulla promessa di favori o la ricompensa di favori già ricevuti. Come si intuisce, è difficile accertare con precisione il peso di questa componente. Sappiamo che esso è stato tradizionalmente molto rilevante nel Mezzogiorno, ma presente anche altrove, comprese le zone rosse. E naturalmente è molto importante a livello locale dove si strutturano più facilmente reti e filiere clientelari. Ho l’impressione che anche questo tipo di voto non ci aiuti però molto a leggere i risultati elettorali recenti.

In effetti alcune delle città più grandi sono state solo da poco già amministrate da governi di centro-destra (si pensi alle toscane o a Catania), altre come Ancona sono state “espugnate” per la prima volta. In generale, si registra un balzo di Fratelli d’Italia che ha raddoppiato e a volte più che triplicato i consensi a livello locale.

Questo appare il tratto distintivo di queste elezioni. Difficile dunque spiegare tale fenomeno, molto netto, solo o prevalentemente in termini di voto di scambio, anche al sud dove, da questo punto di vista, occorre piuttosto prestare attenzione alla crescita inquietante delle liste civiche, che a volte di civico hanno molto poco. Il balzo di FdI ricorda piuttosto l’esplosione alle precedenti elezioni dei Cinque stelle, ma anche le performance di Matteo Renzi e Matteo Salvini.

“Voto di opinione”

Come leggere allora questi risultati che segnalano l’accresciuta volatilità del voto? Il “voto di opinione” identifica un comportamento che si basa sulla valutazione più specifica dei programmi dei partiti e di ciò che hanno realizzato al governo. Ma è evidente che questo richiede tempo e risorse culturali che non sono a disposizione di tutti gli elettori, ma riguardano prevalentemente le élite.

Si può però fare riferimento a un voto più socialmente mediato. Ciò vuol dire che si basa sulla condivisione di un particolare giudizio, maturato nel proprio ambiente sociale e condizionato anche dall’esposizione – sempre più importante – a particolari tipi di media.

Una sorta di mood, di corrente di opinione, che riguarda le caratteristiche individuali (l’immagine, la competenza, la moralità) dei leader, prima ancora che la valutazione dei programmi. Tuttavia, questa disposizione si accompagna nelle democrazie avanzate, e specie da noi, a una crescente sfiducia verso la politica.

Da qui il prevalere di una particolare modalità del voto di opinione che si potrebbe definire “proviamo e vediamo”. In altre parole, viene premiato chi riesce a costruire un’immagine di “novità credibile”. Con la conseguenza però che quando gli stessi leader si rivelano incapaci di fare ciò che promettono, si determina una rapida ritirata degli elettori.

A che cosa sarà dedicato allora il tempo richiesto da Elly Schlein? Per sottrarsi al rischio del rapido consumo dei leader dovrebbe muoversi su due piani.

Anzitutto rivolgersi a un’area vasta di elettori presentando un progetto semplice e chiaro di “novità credibile” e su questo – e non su astratte formule politiche di alleanza (tipo campo largo o stretto) – incalzare i propri interlocutori. Ma allo stesso tempo – e questo è ancor più difficile – mettere a punto un piano che aiuti a realizzare quel progetto. Che è la sfida con cui oggi devono confrontarsi tutti i partiti di sinistra: mostrare che la redistribuzione si può conciliare con lo sviluppo.

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