Il caso dell’esclusione dalle liste elettorali di Raffaele La Regina e le polemiche su Rachele Scarpa, due degli under 35 indicati da Enrico Letta come capilista per dare un senso di rinnovamento al partito, solleva questioni antiche e odierne, che riguardano il retroterra culturale della sinistra europea.

Trascendono, dunque, di molto i destini personali dei due protagonisti, che, come sempre in campagna elettorale, sono stati «incastrati» da post di gioventù sapientemente tirati fuori dalle macchine propagandistiche dello schieramento opposto. Lo stesso, si deve dire, è accaduto recentemente a Giorgia Meloni. Cose da campagna elettorale, appunto.

I due sono stati spinti al ritiro da antiche dichiarazioni relative ad Israele, accusato, secondo i soliti cliché, di perseguire una politica di apartheid nei confronti dei palestinesi o di essere uno Stato occupante (qualche ripasso sulla genesi dello Stato di Israele moderno e sui conflitti che hanno portato all’attuale assetto geografico non farebbe male).

Altri casi di dichiarazioni ostili allo Stato ebraico da parte di figure minori in area Pd stanno emergendo, sempre scovati dalla propaganda avversa, ovviamente. Il Tempo del 21 agosto riporta le posizioni di Youness Et Tahiri, consigliere comunale di Lavis, provincia di Trento, eletto nel partito Democratico, in cui Israele è paragonato addirittura a Hitler. Altri, c’è da scommeterci, ne spunteranno.

Ignoranza e pregiudizio

A nulla servono i consueti tentativi non solo dei candidati, ma di gran parte dell’elettorato di sinistra di differenziare critica al governo israeliano e antisemitismo. Dichiarazioni così generiche, fuori misura, totalmente ignoranti del contesto in cui è sorto l’Israele moderno non possono essere che espressione di un pregiudizio nei confronti dell’esistenza stessa di uno Stato ebraico, che, al massimo, può essere accettato come parentesi temporanea per risarcimento alla Shoah prima di sciogliersi in un ecumenico Stato binazionale.

Come, naturalmente, non esistessero Stati musulmani di ogni ordine e grado, cristiani (in alcuni casi con espliciti riferimenti nelle proprie costituzioni) di ogni confessione e, più in generale, come non fossero battaglie di un mondo progressista il riconoscimento di territori legati ad identità particolari. Valga su tutti il caso curdo, ma che dire della causa tibetana oggi un po’ passata di moda?

Insomma, come sempre, se si parla di Israele vige il principio dei due pesi e due misure. Sarà, magari, che l’antisionismo è riedizione dell’atavico antisemitismo delle civiltà cristiane e islamiche?

Sarà il vecchio rancore per questo popolo dalla «dura cervice», che non si è assimilato ai due grandi sguardi universalistici delle religioni sorelle, confluito in quell’altra grande religione universale che è stata il socialismo?

È un caso che si applichino questi criteri solo all’identità ebraica, rea di aver edificato uno Stato che la rende immune dagli umori della maggioranza ospitante?

Perché la matrice ebraica, che significa solo scandire una ritualità sociale, dovrebbe essere incompatibile con la democrazia mentre i negozi chiusi a Natale nella cattolicissima Italia (guardare le composizioni demografiche per verificare se è più ebraico Israele o più cattolica l’Italia) non vengono percepiti come forma di discriminazione?

Dietro l’umanitarismo

Ancor di più, sono casi che fanno emergere quanto queste giovani generazioni, e parliamo dei ragazzi più impegnati, siano cresciute all’insegna di un generico umanitarismo, che non basta a dar forma ad una proposta politica. Così come non basta un generico ecologismo.

Il fallimento di queste pseudoscuole di formazione politica che si susseguono da 20 anni. Contenitori vuoti, solitamente affidati al nome noto del momento, che si traducono in un insieme di conferenze senza nemmeno l’ambizione di formulare un punto di vista omogeneo. Insomma, un ulteriore segno della crisi dei partiti.

Una parola su questa destra filo israeliana, che ama così tanto Israele da non mancare di infarcire le proprie liste di nostalgici e antisemiti dichiarati. Mai si vide posizionamento più peloso. Che anche l’ambasciatore israeliano uscente abbia, nel corso del suo mandato, sostenuto, sulla scia della strategia Netanyahu, questi partiti senza muovere obiezioni quando i loro leader si presentavano in televisione ad insultare rom e sinti massacrati nei campi di sterminio nazisti insieme ai loro nonni, resta per me, ebreo italiano, miopia imperdonabile.

Si spera che chi verrà ora sappia ben distinguere i nemici dagli amici. Come Torah insegna. Lo stesso vale per l’ebraismo italiano.

© Riproduzione riservata