Di notte tutti i gatti sono grigi. Lo scenario internazionale della pandemia mostra disorientamento e sofferenza economica un po’ dovunque. Non è l’Italia a sfigurare. Ma se guardiamo all’economia non possiamo prescindere dallo stato delle cose pre-Covid, perché non è facile che Paesi che erano già più deboli trasformino la tragedia in opportunità per avvicinarsi ai forti.

«Il covid-19 non è un grande equalizzatore», osserva Silvia Merler nel suo ricco libretto La Pecora Nera: l’Italia di oggi e l’’Eurozona (Bocconi Editore). Nel decennio pre-Covid spiccano forti e deboli, centro e periferia, virtuosi e dissoluti, in un quadro che ha lacerato il dibattito di politica economica europea durante gli anni seguiti alla crisi dell’eurozona cominciata nel 2010.

L’Italia era fra i più deboli. Il fulcro del dibattito era quanto la solidarietà dei forti dovesse supportare i deboli senza pretendere che essi facessero prima “i compiti a casa” con difficili riforme.

Era un dibattito strano, per almeno tre ragioni. Primo: l’intensissima interconnessione produttiva, commerciale e finanziaria che nell’eurozona rendeva impossibile ai forti isolarsi dalle disavventure dei deboli.

La solidarietà era inevitabile, si trattava solo di strutturarla in modo da renderla ordinata e utile per tutti. Secondo: molti dei compiti a casa dei deboli erano troppo difficili da fare senza il coinvolgimento dei forti. Terzo: la squadra dei deboli andava assottigliandosi, nell’eurozona tornava la convergenza anche perché la solidarietà c’è stata e un poco ha funzionato.

La periferia, in cambio di ingenti aiuti finanziari, ha sofferto le pene e le troike post 2010 ma è poi andata aggiustandosi. Appena prima della pandemia lo scenario di divergenze litigiose nell’eurozona si stava rasserenando. Non c’era, come ora, il quadro tutto grigio che confonde i nostri guai in un calderone mondiale ma non c’era più neppure la contrapposizione che nel 2010-12 animava la narrativa della crisi.

Il termometro della crescita

Facciamo qualche calcolo rozzo, con semplici medie dei tassi di crescita annuali di quattro Paesi della periferia (Irlanda, Portogallo, Spagna e Grecia) travolti dalla crisi del 2010 e passati attraverso le spietate cure della Troika e confrontiamoli con la media dei due grandi del centro (Francia e Germania) e con l’Italia. Fra il 2010 e il 2013 il Pil dei periferici scese di circa il 2% all’anno e l’Italia dello 0.6, mentre il centro crebbe dell’1.7. Ma dal 2014 al 2019 i periferici crebbero del 3.8 (2 senza l’Irlanda) mentre Francia e Germania si limitarono a circa l’1.5; l’Italia a 0.8.

Quando è arrivato il Covid, l’Italia era isolata in una persistente divergenza “idiosincratica”: che non vuol dire andar sempre peggio in tutto ma non permette di nascondere la debolezza sotto la maglia di una squadra con debolezze analoghe e solidali.

Se non riconosciamo la nostra solitudine idiosincratica non capiamo quel che succede in Europa e commettiamo altri errori. I litigi che in primavera hanno complicato il parto di Next Generation EU, per quanto narrabili come scontri fra forti e deboli, solidali ed egoisti, son stati soprattutto una partita Italia contro tutti.

Il dilemma era se disciplinarci o aiutarci: riconosciuto che eravamo i più colpiti dal virus, ammesso che le nostre ferite potevano far male a tutti, gli altri bisticciavano su quanto fidarsi di un Paese che da più di un decennio rifiuta di convergere e ha incomprensibili stranezze sia in economia che in politica. L’errore di rifiutare il Mes «perché saremmo gli unici» è anche quello di disconoscere che in qualche misura siamo davvero unici.

La convergenza necessaria

L’integrazione europea, fin dal dopoguerra, si approfondisce per ragioni politiche ma si sorregge con convergenze economiche. È nata per assicurare la pace fra Germania e Francia ma è partita dal mettere insieme carbone e acciaio; quarant’anni dopo la Germania ha concesso l’euro perché le venisse concessa e aiutata l’unificazione est-ovest.

Il ruolo diplomatico e strategico dell’UE nelle controversie della globalizzazione può essere cruciale solo se si approfondisce il suo mercato unico e si integra la sua finanza. E le convergenze non son mancate: fra il 1992 e il 2007 la crescita annuale del Pil della periferia (definita come sopra) è stata in media più che doppia di quella del centro e due volte e mezza quella dell’Italia.

Solo dopo il 2001 la crescita della periferia è stata artificiosa, rigonfiata da imprudenti afflussi internazionali di capitali. Che arrivarono abbondantissimi anche da noi quando l’euro eliminò il rischio di cambio, ma l’Italia li sprecò tanto da mancare in convergenza anche nella crescita artificiale.

Quando i Paesi creditori si accorsero dell’imprudenza dei loro investimenti e cercarono di ritirarli, fu la crisi. E poi furono le Troike e le accuse di insufficiente solidarietà o, più semplicemente, di mancata condivisione delle perdite fra cattivi debitori e creditori incauti.

Ma la crisi è stato anche l’allarme che ha fatto riprendere faticosamente le convergenze nell’eurozona, ha riavvicinato centro e periferia e ha reso più resilienti le istituzioni comunitarie. L’Italia ha evitato la Troika ma non è riuscita a darsi la scossa strutturale per ri-convergere e cambiare, come da tempo richiedono i cambiamenti del mondo.

Avremmo dovuto riorganizzare l’impiego delle risorse usando i segnali dei mercati e i piani di politica economica. Un solo esempio di riforma, essenziale ma su cui nessuno insiste: differenziare le retribuzioni pubbliche e private secondo il costo della vita regionale e decentrare le contrattazioni salariali per riavvicinare i salari alle produttività. In un lavoro di Ichino, Boeri, Moretti e Posch (CEPR, Discussion Paper, luglio 2020) si mostra come in Germania il dualismo Est-Ovest, ancora forte in termini di produttività, genera a Est molta meno inoccupazione del dualismo italiano nel nostro Sud. Si stima che con retribuzioni più articolate a seconda delle produttività, l’occupazione meridionale crescerebbe del 14 per cento, con ovvi riflessi sul tasso di crescita di tutto il Paese. 

Troppo lenti

Abbiamo esitato troppo, abbiamo lasciato deteriorare pubblica amministrazione e sistema giudiziario e fatto troppi debiti per proteggere imprese decotte, posti di lavoro invece di lavoratori, banche fragili e inefficienti, cattedre universitarie improduttive invece di ricerca e didattica di eccellenza, monopoli e oligopoli locali che soffocano concorrenza ed efficienza, burocrazie pleonastiche a scapito di servizi pubblici preziosi e sottodimensionati, dirigismi inutili a scapito di rigorosi controlli ex post.

Dovevamo spendere non per conservare ma per aiutare a cambiare, per compensare i costi e oliare gli attriti inevitabili di un gran rimescolamento di regole e risorse e per ristrutturazione le produzioni riflettendo le esigenze della globalizzazione e della tecnologia

. A far debiti invece di riforme avevamo imparato fin dal secolo scorso, proprio quando ci si imballò il tasso di crescita. Dopodiché abbiamo generato due populismi, quello inclusivo e “di sinistra” e quello esclusivo e “di destra”: ma sono entrambi populismi protettivi, avversi al cambiamento, sospettosi della cultura, imbarazzati dalla modernità, impauriti dall’arena europea e mondiale, fratelli al punto da governare insieme il Paese per più di un anno lasciandoci uno stigma politico che ancor oggi paghiamo caro.

Il rischio, che Silvia Merler ricorda concludendo il suo libro, è che sia l’Italia idiosincratica a far fallire quell’impeto di interessata solidarietà che il Covid ha rilanciato nell’Ue. L’opportunità è invece approfittare della pandemia per un cambio di marcia, curando insieme al Covid la sottile malattia che l’Italia soffre da tanti anni.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          

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