Mentre tutti gli italiani cercano di capire come sopravvivere a una pandemia che uccide 600 persone al giorno e richiede soluzioni drastiche mai tentate prima, i partiti della maggioranza pensano bene di dedicare una parte consistente delle proprie energie a un tema assai più urgente: cambiare i vertici della Rai, che neanche sono in scadenza, visto che sono stati nominati nel luglio 2018 e quindi c’è tempo fino all’estate prossima per affrontare la questione. E invece è cominciato già il totonomine per rimpiazzare l’amministratore delegato Fabrizio Salini e il presidente Marcello Foa. 

Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, che della Rai è formalmente l’azionista unico, ha annunciato in parlamento che si cerca “un nuovo management individuato tra persone del più alto livello manageriale”. In teoria già l’attuale dirigenza ha il curriculum adatto, Fabrizio Salini ha lavorato in tv tutta la vita, come amministratore delegato di La7, per Sky, per Fox… E perfino il presidente Foa, voluto con insistenza dalla Lega per le sue simpatie anti-euro e filorusse, viene dal settore dei media, visto che guidava il gruppo del Corriere del Ticino, in Svizzera. Ma si può sempre fare meglio, ovviamente. Però il nome che circola come “più alto livello manageriale” è nientemeno che Marco Patuano, che di tv non si è mai occupato. 

In compenso Patuano ha un paio di esperienze nel curriculum che sembrano perfette per questo momento paradossale: è stato amministratore delegato di Telecom Italia in una stagione non certo felice per scelte industriali e investimenti (2011-2016, quando l’azienda difendeva la rete in rame perché l’Italia non avrebbe mai avuto bisogno di banda larga...) e poi tra 2016 e 2019 amministratore delegato di Edizione Holding. Cioè della società che gestisce le partecipazioni della famiglia Benetton, inclusa la quota di controllo di Atlantia, la società che a sua volta controlla Autostrade per l’Italia. Era lui a incassare per i Benetton i ricchi dividendi di Autostrade mentre cadeva il ponte Morandi di Genova nel 2018. Cosa ne faccia un candidato ideale per la Rai della stagione Cinque Stelle - Pd resta misterioso (oggi si occupa di energia come amministratore delegato di A2A). 

Mancano i candidati

L’ossessione dei partiti per la Rai va forse spiegata in chiave psicanalitica - il tentativo di aggrapparsi a un’isola di normalità nel mezzo del disastro del Covid-19 Ma resta il fatto che di questo si stanno occupando, magari per assenza di altre poltrone da spartire, magari perché qualcuno pensa a elezioni anticipare di primavera dopo l’arrivo del vaccino e si mette avanti per stringere il controllo sulla televisione pubblica. E rientra in queste logiche tutte politiche la scelta del Pd di presentare e votare, sempre in piena pandemia, un emendamento per aiutare la Mediaset di Silvio Berlusconi ad arginare il potere del socio francese Vincent Bolloré. 

Il problema di queste ambizioni spartitorie è che ormai anche la lottizzazione è diventata impossibile. Non per assenza di posizioni da assegnare, ma per mancanza di candidati. Prendiamo pure per buono il desiderio di riempire ogni casella con persone del “più alto livello manageriale”, ma dove sono? Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è così privo di personale che continua ad assegnare tutti gli incarichi al solito Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia e commissario per tutto il resto. 

Il Movimento Cinque Stelle era arrivato al potere per segnare una differenza anche sulle nomine pubbliche e invece ha confermato l’imputato per corruzione internazionale all’Eni, Claudio Descalzi, e ora tiene al comando di Leonardo un condannato in primo grado come Alessandro Profumo (condanna per una vicenda molto diversa da quella per cui è sotto processo Descalzi, per false comunicazioni sociali, ma queste sono sfumature che erano estranee al Movimento di una volta).

Universi paralleli

Il Pd ha una struttura e una tradizione diversa, ha sempre coltivato la produzione di manager di area, ma anche da quelle parti si è inceppato qualcosa, con l’incapacità di .costruire nuove leve. Manager di livello internazionale come Vittorio Colao, ex amministratore delegato di Vodafone, che pure si erano avvicinati alla politica nel momento del bisogno - la fase 1 della pandemia - sono poi tornati alle loro occupazioni, come se ormai ci fossero due universi completamente separati: quello dei manager utilizzabili dalla politica e quello dei manager con un mercato.

Nei due campi vigono regole completamente diverse, come rivela un dettaglio nelle carte dell’ultima inchiesta su Autostrade: Giovanni Castellucci, all’epoca amministratore dei Autostrade per l’Italia e Atlantia, discuteva con compagnie aeree straniere e con il governo il salvataggio di Alitalia della quale contava di diventare presidente. Da fine conoscitore delle dinamiche del potere romano che aveva dominato per vent’anni, sapeva che nel mondo delle nomine politiche ormai gli standard sono così bizzarri che è ipotizzabile affidare una flotta aerea a chi è accusato di aver fatto crollare un ponte.

Aveva ragione lui, come dimostra il fatto che ora si pensi di affidare la Rai all’ex amministratore delegato della holding dei Benetton.

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