Siamo così assuefatti alla bolla di menzogne nella quale siamo immersi, non soltanto sui social, che rimaniamo perplessi, quasi increduli, quando capita di confrontarsi con una realtà che neppure i filtri di Instagram riescono a manipolare.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump registra un video in cui si mostra saldo e sorridente, spiega che sta bene, ma conclude con l’annuncio che è costretto a ricoverarsi in ospedale per quel Coronavirus che lui ha sempre trascurato. Come altri leader populisti, Trump ha scoperto che il Sars-Cov 2 è indifferente agli slogan: se prendi precauzioni, forse non ti ammali. Se giri senza mascherina ti infetti. Punto.

Anche Matteo Salvini ha dovuto constatare che la realtà non si piega. In questi giorni il suo stile di comunicazione ha raggiunto l’apoteosi: da violento, si presenta sempre come vittima di violenza (degli odiatori social, delle sinistre, dei magistrati), da sciacallo attacca gli sciacalli (per polemizzare contro chi polemizza sulla malattia di Trump, posta una foto di Donald e Melania per intercettare un po’ dell’attenzione), lui che guida un partito sotto inchiesta, condannato a rimborsare 49 milioni ottenuti con l’inganno e con più scandali che sindaci, si trincera dietro le immagini di Paolo Borsellino prima di invitare la sua folla a circondare il tribunale nel quale viene giudicato.

Il pubblico ministero ha chiesto, di nuovo, di prosciogliere Salvini dalle accuse di sequestro di persona per aver tenuto per giorni in mare migranti salvati da una nave della guardia costiera, la Gregoretti. Il giudice Sarpietro, prima di decidere, vuole sentire anche gli altri membri del governo Conte 1 direttamente coinvolti: il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, vari ministri, l’ambasciatore presso l’Unione europea.

Bastava sentire la conferenza stampa di Salvini dopo l’udienza per capire come, dietro l’ottimismo obbligatorio, il leader della Lega avesse dovuto fare i patti con la realtà: neppure lui è mai stato al di sopra della legge. Anche i ministri possono – e devono – essere processati se commettono reati.

Ieri Salvini non rivendicava più di essere indifferente alle regole  bensì, con l’aiuto dell’avvocato ed ex ministro Giulia Bongiorno, pretendeva di aver rispettato regolamenti e direttive con lo stesso atteggiamento con cui Lukashenko rivendica il risultato elettorale di elezioni truccate in Bielorussia. Quando l’uomo forte deve sostenere di aver rispettato le regole, ha già rinunciato alla sua pretesa di eccezionalità.

Il premier Conte è alle prese con un analogo bagno di realtà: proverà a spiegare al tribunale di Catania che non ha mai avuto alcun ruolo nelle decisioni di Salvini dell’epoca. Eppure, bastava leggere i giornali per sapere che – in quella come in altre occasioni – Salvini infliggeva sofferenze non necessarie ai migranti per mero tornaconto elettorale. O è rimasto indifferente, oppure, se ha ragione Salvini, ha avallato il presunto sequestro di persona come strategia negoziale con l’Unione europea.

Conte è impegnato anche in altri due confronti impietosi con la realtà: i soldi del piano Next Generation Eu sono già impantanati nel solito negoziato infinito a Bruxelles e il virus circola, indifferente a tutte le celebrazioni di palazzo Chigi su quanto l’Italia ha fatto di meglio rispetto ad altri paesi. Accettare la realtà e affrontarla, prima o poi, è inevitabile.

Gli elettori nel breve periodo premiano forse chi la nasconde, ma nel lungo preferiscono serietà e pragmatismo.

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