«Dio, patria e famiglia non è uno slogan politico ma il più bel manifesto d’amore che attraversa i secoli. Affonda le sue radici nel “pro Aris et Focis” di Cicerone: “l’altare e il focolare” che da sempre fondano la civiltà occidentale», ha dichiarato Giorgia Meloni in un’intervista al Corriere della Sera.

L’operazione culturale e politica che cerca di sviluppare la leader di Fratelli d’Italia è al tempo stesso ambiziosa, ambigua e complessa.

Ambiziosa, perché Meloni cerca di mescolare l’immaginario simbolico e culturale della destra post fascista italiana con richiami a battitori liberi del pensiero come Giuseppe Prezzolini e Leo Longanesi e agganciando la proposta a temi internazionali che caratterizzano il conservatorismo anglosassone, americano ed europeo.

Ambigua, perché non rompe nettamente col passato, ma resta sospesa tra la tradizione missina e la contaminazione internazionale.

Complessa, perché quella di Fratelli d’Italia è una proposta di “fusione a destra” incentrata sul conservatorismo in un paese in cui questo non c’è mai stato.

Sul piano storico, fin dall’inizio del Ventesimo secolo, la destra italiana ha sempre voluto conservare poco sul piano istituzionale, economico e sociale. E ha trovato nell’anti comunismo il suo collante più forte.

Le stesse avanguardie novecentesche, si pensi ai futuristi, non hanno mai puntato alla conservazione di alcunché, quanto alla rivoluzione estetica e modernista. Persino Silvio Berlusconi si è appellato agli impalpabili “moderati” e ai generici “liberali” più che ai conservatori e ha fatto leva sui forti residui di anti comunismo nella società italiana.

L’eredità storica del conservatorismo in Italia è dunque, per molti aspetti, quasi nulla. È per questo che il mondo intellettuale intorno a Fratelli d’Italia guarda altrove: al nazionalismo dell’est Europa; al populismo conservatore americano; al tradizionalismo francese e spagnolo; e, più in generale, a una critica feroce nei confronti della globalizzazione delle frontiere, dei mercati aperti, della tecnocrazia sovranazionale.

Si abbevera dalla critica del liberalismo progressista di autori come Patrick Deenen e Micheal Lind, sposa il comunitarismo tradizionalista del filosofo britannico Roger Scruton e di quello francese Michel Onfray e legge i romanzi sul “popolo degli abissi” della globalizzazione di J.D. Vance.

Tutto ciò non garantisce naturalmente che questo “Dio-patria-famiglia” aggiornato riesca ad aprire una breccia culturale profonda nell’elettorato italiano di destra, cioè se in altre parole Meloni riuscirà a costruire una identità che vada oltre il motto “legge e ordine” e la polemica contro il politicamente corretto della sinistra, oggi i due bastioni popolari della sua proposta.

Inoltre, appare ancora nebuloso l’approccio economico dei conservatori italiani. Fratelli d’Italia non sembra orientata in modo chiaro né verso il neo-keynesismo imbracciato da Marine Le Pen, ma anche da Boris Johnson, né verso l’approccio liberista dei repubblicani americani e di gran parte dei membri del gruppo europeo dei conservatori.

Lo stesso vale per la posizione europea: dentro l’Eurozona ma contraria al rafforzamento dell’integrazione, aggrappata a un “confederalismo” che è ancora tutto da definire.

Insomma, la definizione del “conservatore” nella scena politica italiana è ancora in parte misteriosa e tirarsi fuori da queste secche non sarà semplice.

A Meloni va però dato atto di aver provato ad uscire dall’angolo, a costruire un mosaico di pezzi presi in prestito altrove per depositarli su una base italiana.

Quella di Fratelli d’Italia è una operazione politica, ma potrebbe diventare anche una strategia culturale. Forse questa nuova destra di nascosto sta anche leggendo Antonio Gramsci.

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