Allo sfacciato discorso del vice di Trump a Monaco c’è una sola, vera reazione possibile: l’implementazione del processo di integrazione europeo. Ma bisogna superare incrostazioni ideologiche che finiscono col favorire quell’estrema destra che oggi appare il miglior alleato di questa amministrazione Usa
Con un discorso che passerà alla storia come uno dei più sfacciati e cafoni mai pronunciati in Europa, JD Vance ha ha riproposto l'antico paradosso della libertà su cui, non ultimo, si concentrò Karl Popper nel suo famoso libro La società aperta e i suoi nemici.
Un giochino logico elementare, per cui la libertà è la peggior nemica di se stessa, in quanto, per essere coerente, dovrebbe ammettere coloro che vogliono reprimerla. Per accantonare questo che è ormai da tempo il mantra con cui Elon Musk giustifica la propria svolta autoritaria, basterebbe ricordare la famosa frase di Benedetto Croce, «Liberi tutti tranne chi è contro la libertà».
Concetto ripetuto da Sandro Pertini durante gli anni tragici del terrorismo, quando ricordò che la società liberale non è una sorta di esperimento anarcoide in cui sono ammessi tutti senza distinzioni, ma il tentativo, quasi paradossale, di costruire una struttura politica che salvaguardi gli ideali di libertà e uguaglianza. Va da sé che ogni ideologia razzista, repressiva, discriminatoria non abbia legittimità in questo patto sociale.
Il declino della società liberale
Ora, il tema del declino della società liberale proposto a suo modo da Vance è assai serio. Quello che a me pare un eccesso ideologico riconduce la crisi della società liberale al prevalere di logiche neoliberiste (termine ormai passpartout) che hanno scardinato i sistemi di welfare. Si sarebbero così liberati gli spiriti animali, fino all’affermazione dell’attuale paradigma della forza.
Una ricostruzione che parrebbe far coincidere democrazia e socialdemocrazia. Conclusione che potrebbe anche trovarmi d'accordo, ma che escluderebbe dalla famiglia democratica quelli che ne sono stati i Paesi guida, a cominciare da Stati Uniti e Gran Bretagna.
Non per fare il vecchio marxista, ma, se si sposta l’accento dalla sovrastruttura alla struttura, appare chiarissimo come la cosiddetta golden age del capitalismo si esaurisca negli anni Settanta, dove la curva delle crescite economiche nei paesi a capitalismo avanzato comincia inesorabilmente a calare.
Gli Stati hanno tentato di contrastare questo andamento ciclico attraverso la finanziarizzazione dell’economia, facendo lievitare i debiti pubblici e rendendosi così più esposti alle turbolenze dei mercati.
A questo punto, non rimanevano che due strade: tagliare la spesa sociale o tassare il capitale. L’esito sarebbe stato lo stesso: un impoverimento generale che avrebbe inciso soprattutto sugli ultimi o i penultimi. Dagli anni Ottanta il processo è apparso inesorabile ed è chiaro che la sua prima vittima sarebbero stati i partiti laburisti, che nell’idea di welfare state avevano costruito la propria ragion d’essere.
Ma il malumore non avrebbe risparmiato nemmeno la destra conservatrice classica che andava avanti a suon di liberalizzazioni e precarizzazione, alimentando il vento populista con cui abbiamo a che fare da più di un decennio e che nell’attacco al principio di separazione dei poteri vive oggi il suo punto di discrimine fra democrazia liberale e illiberale. Secondo la definizione che ne ha dato il suo principale alfiere, Orbán.
Determinismo passivo
Di questo passaggio si è già detto e scritto tutto, con annessa esegesi delle opere dei suoi teorici. Spesso mi pare che si ripetano identiche considerazioni di anni fa, il ché dà anche l’idea del nostro stallo politico ed intellettuale.
Significa che siamo finiti in una strada senza uscita e dobbiamo rassegnarci ad un determinismo passivo? No, la soluzione esiste: recuperare capacità di investimento, superando la dimensione dello Stato nazione, che non ha il raggio d’azione per affrontare i problemi del nostro tempo. Insomma, la nostra unica via per non rassegnarci ad un declino che appare inesorabile si chiama Unione europea.
Purtroppo, per l’inevitabile crescita di una rabbia che ha nell’impoverimento della classe media il suo asse portante, la crisi sociale è diventata ben presto politica, contribuendo ad alimentare il circolo vizioso che frena il processo di integrazione europeo. A me pare, ma capisco che il tema sia molto complesso, che l’eccesso di ideologismo di cui sopra, spesso sfociato in moralismo vero e proprio, alimenti un malcontento di cui poi si impossessa l’estrema destra.
Semplicemente perché può legittimarlo fino in fondo, aggiungendoci il carico di razzismo, antisemitismo e omofobia oggi imperanti. Un altro punto in cui l’estrema sinistra finisce col legittimare l’estrema destra. Lo chiamano rossobrunismo.
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