L’altro giorno ho scritto un tweet che è diventato virale: «Molti bambini di oggi intorno ai 9-10 anni chiedono lo smartphone. Come fare a gestire questa richiesta? Semplice: si dice no. Seguitemi per altri consigli pedagogici articolati».

Mentre lo scrivevo non pensavo che avrebbe attirato l’attenzione, non più del solito. Mi sembrava una cosa semplice, anzi scontata. È ovvio, per me, non comprare lo smartphone a mia figlia di nove anni.

È talmente ovvio che non pensavo la questione meritasse di essere sviluppata. Uno smartphone è uno schermo di piccole dimensioni capace di risucchiarti l’esistenza, è un abisso portatile che provoca la tendinite, il tunnel carpale, la cifosi, l’ansia, la dipendenza, l’angoscia esistenziale.

È utile e divertente, anche, e per questo lo usiamo, ma pure il motorino è utile e divertente, però non si guida prima di una certa età.

Del resto, esistono le alternative. Se vostro figlio va a scuola da solo la mattina, e volete poterlo contattare perché pensate che il mondo sia più pericoloso di un tempo (forse lo è), potete comprargli un orologio per bambini con la funzione telefono. Costa poco.

Se la vostra bambina vuole giocare con i videogiochi o fare una ricerca su Google può usare un computer che sarà a sua disposizione per un certo tempo senza che diventi un’appendice del corpo. Se deve vedere una serie tv… Avete capito. Le alternative. Cose ovvie.

Eppure il mio tweet si è diffuso, come se contenesse qualcosa di liberatorio, un concetto che era lì e aveva solo bisogno di essere espresso, una verità modesta ma taciuta e piena di tensione.

Naturalmente il problema è che la questione non è teorica. Esistono davvero padri e madri che comprano lo smartphone ai bambini delle elementari, e questi figli vanno a scuola e dicono agli altri di averlo, e gli altri vanno a casa e dicono che anche loro lo vogliono, e il genitore viene messo sotto pressione.

Chi compra uno smartphone ai bambini – l’ho capito leggendo i commenti al mio tweet – spesso si giustifica dicendo che siccome fa parte delle nostre vite allora è giusto regalarlo presto. Tanto prima o poi bisognerà usarlo, e allora meglio imparare.

Ora, da un punto di vista tecnico non si capisce cosa ci sia da imparare. Lo smartphone è un oggetto così semplice da essere ormai alla portata delle scimmie. Non conosco un adulto che non ne usi uno con la massima serenità. Forse qualche persona anziana fa fatica, ma in quel caso si tratta anche di battaglie ideologiche: non imparo perché detesto il declino della civiltà (una posizione del tutto dignitosa, fra l’altro).

Quanto alla necessità di apprendere invece una filosofia d’uso, cioè di imparare presto a difendersi dagli orrori della rete, dalle truffe, dalle violenze, io credo che il percorso non debba essere quello di dare in mano uno smartphone e dire “Vai!”

L’apprendimento di certe brutture fa parte del cammino generale della maturazione, i bambini imparano gradualmente la vita, il tempo in cui vivono, le sue difficoltà.

Si avvicinano alle cose quando e se necessario. Poi per carità, magari hai insegnato a tuo figlio a nuotare buttandolo da una nave nel mare in tempesta, con un masso legato al piede: in tal caso mi arrendo di fronte al tuo stile educativo.

Da piccoli può aver senso coltivare abitudini fuori dal tempo, occuparsi in maniera anacronistica, essere sgangherati e distanti dal mondo. E mi resta il dubbio che il genitore che non sa dire di no sia solo, appunto, un genitore che non sa dire di no. Neanche quando si tratta di un no che nel giro di pochi anni diventerà un sì.

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