A un certo punto di una conferenza stampa per il resto piuttosto placida, il premier Mario Draghi torna ai toni e ai termini del banchiere centrale e dice: «Da questa situazione di debito si esce soltanto con la crescita, non con la politica espansiva». Poche parole, come quelle del famoso discorso del “whatever it takes” che nel 2012 salvò l’euro, che racchiudono tutta la sua analisi della situazione politica e chiariscono quale sia la scommessa del presidente del Consiglio, una scommessa dal cui esito dipendono gli equilibri tra i partiti ma soprattutto la tenuta del paese.

Ieri Draghi presentava l’ennesimo intervento di sostegno all’economia, uno scostamento di bilancio da 40 miliardi per un decreto Sostegni bis che distribuisce ancora una volta soldi un po’ a pioggia, dalle imprese ai comuni a vocazione sciistica, dalle partite Iva agli alberghi.

Spese inevitabili per mitigare gli effetti della pandemia ma dalle quali, Draghi lo sa bene, non arriverà nulla per la crescita. Così come arriverà poco, almeno nell’immediato, dai famosi 200 miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Il moltiplicatore cumulato delle misure presenti nel piano consegnato alla Commissione europea sarà quasi certamente inferiore a uno. Tradotto: quanto valore aggiunto (Pil) genera ogni euro immesso nell’economia dallo Stato? Nello scenario migliore 1,2, in quello intermedio 0,9 e in quello peggiore 0,7.

Stime comunque ottimistiche se confrontate con misure analoghe dopo la grande recessione del 2008, quando i moltiplicatori erano più vicini a 0,3. Insomma, per quanto possa sembrare sorprendente, non è dal Pnrr che può arrivare la crescita necessaria a sostenere un debito intorno al 160 per cento del Pil. Da dove arriva dunque?

In teoria dalle riforme, che dovrebbero aumentare il potenziale di crescita del paese in modo strutturale: pubblica amministrazione, giustizia, mercato del lavoro, fisco. Cose di cui si è appena iniziato a discutere e che richiedono un grande consenso politico. Che al momento non c’è, tanto che Matteo Salvini della Lega ha già detto che non spetta a questo governo occuparsene. Enrico Letta, segretario del Pd, ieri ha proposto un intervento redistributivo a favore dei giovani (mutuato dalle idee del Forum disuguaglianze e diversità) che subito Draghi ha bloccato: «Non è questo il momento per chiedere soldi ai cittadini, ma per darne». E poi ha chiarito che la riforma del fisco si fa come pacchetto completo di interventi, non una misura per volta.

Per la verità, negli Stati Uniti, il presidente Joe Biden è impegnato in uno sforzo redistributivo molto maggiore di quello proposto da Letta che dovrebbe riguardare una “dote” ai neodiciotteni pagata da un aumento dell’imposta di successione sui patrimoni più elevati.

Quanto dura l'effetto Draghi

Foto Fabio Frustaci/POOL Ansa/LaPresse 20-05-2021 Roma, Italia Politica In corso la conferenza stampa del Presidente Draghi per illustrare il Decreto ‘Imprese, Lavoro, Giovani e Salute ‘. Intervengono il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Daniele Franco, e il Ministro del Lavoro, Andrea Orlando. Nella foto: Mario Draghi Photo Fabio Frustaci/POOL Ansa/LaPresse May 20, 2021 Rome, ItalyPolitics Italian Prime Minister, Mario Draghi, attends a press conference for \'Businesses, Work, Youth and Health\' decree. In the pic: Mario Draghi

Le banche d’affari che osservano l’Italia e cercano di capire se il suo debito pubblico è sostenibile si interrogano sul ruolo di Draghi: riuscirà a tenere insieme la coalizione e a far passare le riforme? E se andasse al Quirinale nel 2022 il processo si interromperebbe subito? Da queste risposte dipende il tasso di interesse che l’Italia paga. A guardare l’andamento dei Btp, sembra che l’effetto Draghi sia già svanito: l’Italia paga sui Btp a 10 anni l’1,05 per cento, un tasso rapidamente cresciuto fino al livello di novembre scorso, prima della crisi di governo.

Se si continua così, il ministero del Tesoro rischia di mancare l’obiettivo di vedere, grazie alle misure di sostegno della Bce, la spesa per interessi sotto il 2 per cento del Pil a fine 2021.

Dietro il rapido aumento del tasso di interessi dell’ultimo mese però non c’è (ancora) lo scetticismo sull’Italia, quanto i timori per l’inflazione causata dalla ripresa.

Draghi su questo interviene con la nettezza che usava alla Bce: non c’è alcun problema, l’inflazione in Europa è all’1,6 per cento, sotto l’obiettivo del 2, e il 4,2 per cento degli Stati Uniti si spiega con strettoie nella produzione dovute alla rapida ripartenza dell’economia (mancano i microchip per le auto, c’è una temporanea scarsità di materie prime, non si trovano navi e container liberi…) non cero a un surriscaldamento pericoloso dell’economia. Inoltre, ormai la Banca d’Italia – per conto della Bce – detiene così tanto debito pubblico che la quota davvero scambiata sul mercato è molto più bassa del 160 per cento ufficiale, intorno al 90 per cento, che ha un tasso di interesse medio dell’1,75.

In questo contesto, insomma, per l’Italia ci sono soltanto due grandi pericoli: che la situazione politica trasmetta messaggi di instabilità, mettendo a rischio quelle riforme che dai mercati (ma anche dall’Unione europea) sono considerate l’unica garanzia di avere un debito sostenibile, e che la Bce annunci troppo presto una graduale riduzione del sostegno al debito italiano. Nel momento in cui gli investitori capissero che la banca centrale non è più disposta a intervenire in modo quasi illimitato a difesa dell’Italia, comincerebbe l’attacco.

Draghi ha ancora una tale influenza sui mercati che può guidare entrambi i processi, finché tutto resta com’è. Per questo, a precisa domanda, il premier ha cercato di bloccare ogni dibattito sul suo passaggio al Quirinale nel 2022: «E’ improprio che si discuta del capo dello Stato quando è in carica, l’unico autorizzato a parlarne è il presidente della Repubblica».

Il Pd, invece, continua a sperare in un prolungamento del mandato di Mattarella per chiudere la legislatura nel 2023, la Lega di Salvini sogna di mandare Draghi al Quirinale, andare al voto e conquistare subito palazzo Chigi. L’equilibrio è delicato, basta un passo falso per deragliare. E il conto sui mercati arriverebbe subito.

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