Aria di crisi nella Linke, la sinistra tedesca. Appena un anno fa il partito era riuscito, grazie ai cavilli della legge elettorale, ad entrare in parlamento. Poi è arrivata la guerra di Vladimir Putin. Come reagire all’aggressione russa, se inviare armi o meno per la resistenza ucraina, come comportarsi con Mosca: domande che stanno tutt’ora lacerando le sinistre in tutta Europa.

Uno dei fondatori del partito, Gregor Gysi, ci aveva quasi scherzato su: «Per fortuna non siamo al governo!».

Due settimane fa un nuovo strappo. Al Bundestag si discute di energia, per la Linke parla Sahra Wagenknecht, le cui posizioni sulla guerra sono lontane da quelle della maggioranza del partito.

Contro la guerra ma anche contro le sanzioni

Wagenknecht ha detto: «Il problema più grande è l’idea di provocare una guerra economica senza eguali contro il nostro più importante fornitore di energia. Quanto è assurda l’idea di punire Putin facendo cadere in povertà milioni di famiglie e distruggendo le nostre industrie?».

Uno dei due presidenti del partito, Martin Schirdewan, ha immediatamente preso le distanze. Nei giorni successivi sono stati in tanti a lasciare il partito, spesso per motivi diversi, segnalando l’esistenza di uno scontro profondo. Dall’ex parlamentare Fabio De Masi a Ulrich Schneider, presidente di un’organizzazione che raccoglie circa diecimila associazioni del sociale. E potrebbe essere solo l’inizio.

Proprio dopo Erfurt la Linke stava provando ad organizzare un’opposizione, sociale e progressista, alle politiche del governo, per evitare che tutto il malcontento finisca per ingrassare la destra, vale a dire Afd, Alternative für Deutschland.

La questione è più profonda e ha a che fare con la natura e il senso del partito fondato nel 2007 e nel quale Wagenknecht non è mai riuscita a definire una maggioranza. Se non raccoglie consensi nel partito, è però convinta di averli nel paese. Anni fa provò a costruire un movimento alternativo, Aufstehen, operazione naufragata in pochi mesi. Ha pubblicato poche settimane prima delle elezioni un libro in gran parte contro il suo stesso partito, tradotto anche in Italia. Nonostante tutto viene candidata.

La maggioranza del partito ha cercato di barcamenarsi tra la solidarietà all’Ucraina, il pacifismo di buona parte degli iscritti, contrari all’invio di armi, la consapevolezza della responsabilità russa per la guerra come pure l’importanza di un rapporto con i paesi dell’Europa dell’Est nuovo e soprattutto non mediato da Mosca.

Ma nel partito sanno di dover fare i conti anche con gli effetti della guerra, con l’inflazione e l’aumento dei prezzi, con un governo che trova dal mattino alla sera cento miliardi per l’esercito ma non le risorse per prolungare il 9-Euro-Ticket, un modo per viaggiare su mezzi pubblici e treni regionali di tutto il paese ad appena nove euro al mese ma limitato a giugno, luglio e agosto. 

Una scissione?

Wagenknecht porta avanti una sua linea, per la quale la guerra è figlia esclusivamente della rivalità tra Mosca e Washington e l’Europa dovrebbe assumere un ruolo neutrale: la fine delle sanzioni, inoltre, allevierebbe anche gli affanni della popolazione.

Da qui il lavoro sempre più difficile di quanti stanno provando a mediare, come il capogruppo al Bundestag, Dietmar Bartsch: «Non parlo di guerra economica contro la Russia. È la guerra criminale condotta dalla Russia l’origine di tutti i mali. Ma si deve parlare dell’efficacia delle sanzioni».

La parlamentare Sevim Dağdele ricorda che le posizioni di Wagenknecht fanno parte del programma elettorale, mentre è già on-line una lettera aperta per la sua espulsione.

Da più parti si fa notare come Wagenknecht più che ipotizzare un’alternativa alle politiche del governo, punti a radicalizzare lo scontro nel partito e prepararsi alla resa dei conti.

Se, infatti, la Linke si è ritagliata il compito di costruire l’opposizione sociale al governo, è su quel fronte che dovrebbe presentarsi unita. Individuare risorse per la transizione energetica – come ha chiesto Fridays for future – occuparsi di una mobilità sostenibile e di investimenti di lungo periodo: il punto non sono solo le sanzioni ma una nuova politica che coniughi ambientalismo e questione sociale.

Qui torna il problema originario: a che serve la Linke? Per ora più che cercare la risposta, si affilano i coltelli.

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