Le discussioni sulle manifestazioni per la pace di sabato rischiano di farci dimenticare che mentre oggi nessuno ha la ricetta magica, la storia ci può essere di aiuto. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, proprio mentre l’Urss invadeva l’Afghanistan, il dispiegamento di nuovi missili tattici sovietici Ss20 infiammò la Guerra fredda. L’escalation nucleare sovietica e quella subito annunciata dalla Nato suscitarono un movimento popolare, politico e intellettuale sfociato nelle grandi manifestazioni per la pace e per impedire l’installazione degli Ss20 da parte sovietica e dei missili cruise e Pershing da parte Nato.

L’allora cancelliere tedesco Helmut Schmidt, in un discorso al Centro di studi strategici di Londra, attirò l’attenzione sul fatto che nella Germania dell’Est erano stati installati ben 200 Ss20: Schmidt segnalò che l’Europa intera era alla portata del raggio di azione di 2300 chilometri. Gli Ss20, inoltre, con tre testate nucleari e la mobilità consentita da speciali mezzi, diventavano una minaccia ancor più temibile.

Oltre la deterrenza

(AP Photo/Scott Stewart, File)

Il principio della deterrenza era dunque rotto. La necessità di ribilanciare con un sistema bellico comparabile portò gli americani a predisporre lo spiegamento di un arsenale di 464 missili a corto e medio raggio e di altri circa duecento missili a lunga gittata cruise. Avendo i Pershing un raggio di soli dieci minuti di volo, l’unico modo per colpire il territorio sovietico era posizionarli in Germania. Ma, anche per motivi politici, il peso della deterrenza nucleare europea fu spalmato anche su altri paesi Nato come Olanda, Gran Bretagna, Italia. L’escalation nucleare sembrò inarrestabile.

In Italia, dove era prevista l'installazione di 112 missili cruise nella base Nato di Comiso in Sicilia, molti comuni, la provincia di Trento e cinque regioni si dichiararono denuclearizzati. Tali annunci non avevano validità giuridica, ma esprimevano l’indisponibilità di intere comunità a ospitare ordigni nucleari. In Italia il movimento culminò nel 22 ottobre 1983, quando, in occasione della giornata mondiale per il disarmo, a Roma si svolse la più grande manifestazione europea con oltre un milione di persone.

In Germania, accanto a dimostrazioni di massa, l’«appello di Krefeld» contro lo stazionamento dei nuovi missili nel 1983 raccolse milioni di firme. La morale stessa della deterrenza nucleare fu messa in questione, quando numerosi esponenti di molte diverse confessioni religiose si schierarono contro la nuova escalation atomica.

La protesta si ripeté nelle aule parlamentari europee e le leadership olandese e tedesca furono messe in discussione, mentre a sorpresa il socialista François Mitterrand in un discorso al Bundestag nel 1983 pronunciò la celebre frase «Les missiles sont à l’est, les pacifistes sont à l’ouest», riaprendo così il dibattito sulla legittimità della Nato di aumentare il proprio arsenale atomico in Europa. Quando i primi missili cruise arrivarono nella solidamente conservatrice Gran Bretagna di Margaret Thatcher, i sovietici abbandonarono il tavolo delle negoziazioni a Ginevra.

Effetto Reagan

Foto Alessandro Bremec/LaPresse

Il vero fattore determinante per la svolta in quella stagione che sembrò riaccendere la Guerra fredda fu l’arrivo di Ronald Reagan alla presidenza degli Stati Uniti. Nel suo discorso sulla Strategic Defense Initiative, Reagan sostenne che era necessario che il mondo si liberasse di quelle armi. Il motto «zero, zero option» circolò tra le cancellerie anche se nessuno si aspettava potesse concretizzarsi effettivamente.

Come avrebbero potuto i sovietici rinunciare al proprio arsenale strategico se la Nato non avesse avuto la forza di installare i propri missili anche a causa del crescente movimento popolare? Lo stesso movimento anti missili sospettò che si trattasse di un escamotage per consentire, dopo il diniego dei sovietici, lo spiegamento dei missili nucleari americani con nuova legittimità.

Tutto si concluse quando il sistema sovietico, che sembrava irriformabile, generò invece il ciclone Gorbačëv, nel marzo del 1985. Da una parte della cortina di ferro, dunque, un conservatore come Reagan, che con la sua dottrina morale dello Zero Option aveva rivoluzionato lo schema di gioco della deterrenza nucleare, dall’altra un riformatore consapevole che la spesa militare sovietica era tre volte più alta di quella nordamericana con un Pil pari a un sesto di quello americano. Il sistema non poteva reggere e la Perestroika portò dentro di sé anche la fine dell’escalation nucleare.

Tra alti e bassi la distensione proseguì nel corso degli anni Ottanta sino a quando Gorbačëv alle Nazioni unite dichiarò il diritto all’autodeterminazione annunciando il ritiro di mezzo milione di truppe dall’Europa dell’est. Nel dicembre del 1987 fu firmato il trattato Inf (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) che cancellò non solo la questione degli “euromissili”, i cruise, i Pershing, gli Ss20, ma anche di molti altri, come gli Ss4 e Ss5: i missili della Guerra fredda.

L’Unione sovietica rottamò ben 2.700 testate nucleari e gli Stati Uniti almeno 800. Scomparve dall’oggi al domani un’intera categoria di ordigni e il diritto di ispezione iscritto nel trattato consentì la pressoché assoluta tranquillità delle due parti. La Guerra fredda era terminata.

La lezione di quella stagione è che le grandi manifestazioni possono essere il terreno di coltura di grandi cambiamenti solo quando gli attori della politica internazionale, nel caso della vicenda ucraina Putin, Zelensky, Biden, von der Leyen, Xi Jinping, hanno una idea chiara su dove e come portare il conflitto in una zona di decompressione delle tensioni che lo hanno generato.

Le leadership devono cioè raccogliere il segnale popolare, anche in modo sorprendente e opportunistico, anche là dove sembrava non ci fosse alcuna speranza, come fecero 40 anni fa Reagan e Gorbačëv che, contro ogni previsione, riuscirono a siglare un accordo che regalò all’Europa una nuova e lunga stagione di pace.

© Riproduzione riservata