Il tabellone dei colori è cambiato nuovamente. Sembra un gioco e non lo è. Le persone continuano ad ammalarsi, a morire, a vivere confuse in una selva di norme spesso contraddittorie e il cui significato, a leggerlo in prospettiva, è inquietante. Mi spiego.

Penso ai musei, e mi dico Bene, in zona gialla i musei possono riaprire al pubblico nei giorni feriali. Immediatamente mi rallegro, poi continuo a leggere, e capisco che si potranno visitare solo le collezioni permanenti.

Non ci saranno mostre, insomma. Non ne faccio una questione di predilezioni, convincimenti o studi.

C’è chi pensa l’arte si sia fermata agli etruschi, chi ritiene che dopo Botticelli non si possa più dipingere e chi sostiene che Picasso è stato l’ultimo e il più grande degli artisti, che dopo Castiglioni il design non ha senso, che prima di Le Corbusier non esistevano architetti, che la factory di Andy Wharol non vale quanto una scatola di zuppa Cambpell.

Non voglio farne una questione di predilezioni, convincimenti o studi. Ma di prospettiva. Di impedimento a pensare il nuovo e ripensare l’esistente.

Ci sono mostre monografiche su artisti morti, già allestite – penso a Cartier-Bresson a Palazzo Grassi, per esempio – e ci sono mostre monografiche o collettive su e di artisti viventi che non possono essere allestite.

Inoltre, le mostre già allestite ma temporanee, laddove siano in regione gialla e dunque sia possibile andarci, sono da considerarsi alla stregua di una collezione permanente, o no? Non ho capito, per esempio.

Mi chiedo quale sia la motivazione sanitaria per non aprire una mostra. La differenza tra una mostra e una collezione permanente è l’inaugurazione.

Dunque, mi dico, forse il ministero, i ministeri, il governo, non vogliono i cocktail. Giusto, mi dico, giusto, niente cocktail. Allora perché non allestire mostre di artisti contemporanei vivi o no, pensate e preparate per anni e, semplicemente, vietare le inaugurazioni? Mi piacerebbe capire, e forse avendolo inteso, mi sarebbe possibile condividerlo, il ragionamento alla base di una tale disposizione.
Perché così mi pare solo l’ennesima dimostrazione di un paese adagiato sul proprio passato che non è in grado di pensare al futuro, di curarlo e progettarlo.

Ci sono artisti vivi che dipingono, scolpiscono, filmano, montano strutture sonore, producono per usare un termine di mercato, a questi artisti chi pensa? Anche sul sito in fieri di ItsArt si legge «ITsART è il nuovo palcoscenico virtuale per teatro, musica, cinema, danza e ogni forma d’arte, live e on-demand, con contenuti disponibili in Italia e all’estero: una piattaforma che attraversa città d’arte e borghi, quinte e musei per celebrare e raccontare il patrimonio culturale italiano in tutte le sue forme e offrirlo al pubblico di tutto il mondo». 

Ecco, il patrimonio culturale italiano anche è in fieri, pensato, ripensato, riorganizzato da artisti e curatori viventi. Esiste solo la tradizione del futuro, e questo dovremmo ricordarci ogni minuto. 

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