Per due volte in quasi vent'anni gli Usa hanno scatenato un tifone che tutto distrugge sulla sua rotta. Nel 2008 crollò il castello di carte dei mutui immobiliari, concessi a livelli sempre più rischiosi a debitori sempre meno affidabili, poi “affettati” e ceduti ad altri soggetti, mentre la banca che s'era liberata dei rischi ne assumeva di nuovi. Il tifone traversò veloce l'Atlantico per scaricarsi specie su Irlanda, Spagna, Italia e Grecia.

La crisi immobiliare Usa si trasformò nella crisi dell'euro; ne uscimmo grazie alla triangolazione fra Germania, Italia e Banca centrale europea, che mise all'angolo chi a Berlino tifava contro, come il ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble e gli accademici decisi a impedire alla Bce di salvare l'euro. Da quella crisi non siamo ancora davvero usciti, essendo oggi il nostro Pil inferiore a quello che avremmo raggiunto mantenendo il trend pre-crisi.

Il tifone Donald

Si chiama Donald il secondo tifone e i danni maggiori potrebbe subirli di nuovo l'Europa; ha vinto per il malcontento degli elettori sui democratici per l'inflazione, i servizi pubblici carenti, i costi altissimi di quelli forniti dai privati, gli stipendi insufficienti, il tramonto del modello sociale che trainò lo sviluppo dopo la guerra. Dietro ai due tifoni c'è una grande causa comune, la disuguaglianza.

È questo il male che colpisce gli Usa. Da forse quarant'anni redditi e patrimoni dell'1% più ricco – lì ma un po' ovunque in Occidente – crescono mentre la fetta del fattore lavoro sul valore aggiunto cala. Il capitalismo premia il successo, però entro certi limiti, per tutelare la coesione sociale. Negli Usa, invece, quel premio non ha più limiti e il motore capitalistico gira a un regime superiore a quello pensato da chi progettò 90 anni fa la democrazia liberale. Il motore funziona anche oltre quel limite, perché ci s'era tenuti un margine di sicurezza, ma ora il punto di rottura è superato, lo mostra la vittoria di Trump. Nessun sistema politico, certo non una vera democrazia, può sopravvivere oltre certi livelli di disuguaglianza e di ingiustizia.

È paradossale che la disuguaglianza sia curata aumentandone la dose, come vuole il capitalismo oligarchico reazionario (copyright di Rino Formica su Domani). Trump otterrà la conferma dei tagli di tasse del suo primo mandato, vicini alla scadenza. I vantaggi andranno soprattutto ai titolari di grandi redditi, che li investiranno in titoli, immobili, o nelle criptovalute la cui diffusione un presidente uscito dai cardini vuol favorire, a partire dalla sua, la $Trump. Solo briciole per gli altri, su cui graverà il peso della conseguente inflazione, anche per dazi ed espulsioni di migranti.

Divide et impera

Con la Ue Trump preferisce il divide et impera. Di nuovo minacciata, essa deve modificare assetti istituzionali incompatibili col previsto ingresso di altri stati; rimuova anzitutto il diritto di veto sulla politica estera e magari fiscale. Se necessario segua, come per l'euro, la via delle cooperazioni rafforzate; in una comunità politica di stati impegnati ad un'unione sempre più stretta, l'obbligo di unanimità è anti democratico, dice Romano Prodi, e Francia e Germania paiono d'accordo.

Nel club ci saremmo anche noi, ma a domanda di Mario Monti in Senato la premier Giorgia Meloni l'ha escluso; il che è logico per una nazionalista, ma è contrario alla costante visione del nostro interesse nella Ue. Dietro l'atlantismo meloniano c'è un mal mascherato anti-europeismo. Su questo deve incalzarla il Pd di Elly Schlein; se lo facesse con forza e decisione il nostro popolo, tuttora convinto sostenitore del processo europeo, punirebbe Meloni.

La Ue avrebbe un modo per ribaltare su Trump la sua tattica: diversi grandi stati Usa, come California (dal Pil superiore a quello del Giappone) e New York, sono fieramente avversi a Trump. Una Ue compatta, con 450 milioni di cittadini, potrebbe discutere con loro accordi, ad esempio sulla regolazione del settore auto o sulla lotta al cambiamento climatico.

Ci si deve infine chiedere come il mondo – e gli stessi Usa, dopo l'iniziale sbandamento davanti a tanta tracotanza – reagiranno alla raffica di ordinanze oltraggiose che disprezzano basilari regole politiche, economiche o solo civili. Avremmo forse potuto subire, senza avvertire il pericolo, la graduale erosione di tali regole, ma l'hybris di Trump e soci, incapaci di moderarsi, potrebbe rivoltarglisi contro. Difficile che il mondo intero accetti di divenire suddito, senza diritto di voto, del 47° presidente Usa.

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