Dopo un anno di pandemia, la sanità sta iniziando a cambiare la corsa contro il tempo: da quella per guarire, a quella per non ammalare. Il vaccino è la luce in fondo al tunnel, ma proprio per tale motivo è necessario soffermarsi su alcune questioni inerenti alla sua somministrazione, come l’obbligo a vaccinarsi.

Obbligo di vaccinazione?

Al momento, parlare di obbligo vaccinale è senz’altro prematuro. Di certo, non vi sono dubbi sulla sicurezza dei vaccini autorizzati, al pari di quanto non lo sia qualsiasi elaborato farmaceutico in commercio.

Tuttavia, mancano le principali condizioni giuridiche, sanitarie e politiche per poterlo imporre: tra le altre cose, non vi sono ancora dati definitivi sugli effetti sulla trasmissibilità, e quindi sulle ricadute sulla sanità pubblica; non vi è una distribuzione tale da rendere l’obbligo esigibile, né dal punto di vista delle forniture né, soprattutto, dal punto di vista della distribuzione e del piano (quale piano?) di vaccinazione. 

Infine, obbligare anziché convincere rischia di avere un effetto contrario a quello atteso, alimentando sospetti e atteggiamenti anti-vaccinali all’idea che vi sia un motivo per costringere le persone anziché convincerle.

Dato il rapido corso degli eventi e sperando in una massiccia distribuzione, potrebbe non essere lontano il momento in cui l’interrogativo sull’obbligo vaccinale diventi concreto.

Cosa implica, dunque, quest’obbligo?

Di certo, non la sospensione degli altri diritti inviolabili. A chi abbia rifiutato la vaccinazione non può essere negato, per essere più chiari, il diritto alle cure o all’istruzione.

I diritti fondamentali e gli obblighi di solidarietà non hanno un rapporto commutativo: i primi sono riconosciuti come preesistenti all’organizzazione statale e, quindi, sono sottratti alla sua disponibilità anche laddove dovesse essere invocata per ragioni pubbliche.

Sanzioni e benefici

Ciò non toglie, tuttavia, che l’obbligo vaccinale, per essere tale, debba essere corredato di una serie di conseguenze - sanzioni - in caso di violazione.

La prima, più pacifica, è quella pecuniaria, che corrisponde a una forma di “riparazione” anche con effetto deterrente.

La seconda potrebbe essere il divieto di accesso ad alcuni spazi pubblici o aperti al pubblico, limitando la sfera giuridica dei non vaccinati, senza compromettere i loro diritti fondamentali.

Tale divieto, da un lato, sarebbe funzionale a garantire la salubrità dei luoghi interessati, in termini di tutela dal rischio di contagio; dall’altro lato, operando come una sorta di sanzione per il rifiuto di vaccinazione, incentiverebbe a farla.

Ribaltando la prospettiva sanzionatoria, si potrebbe anche pensare di collegare non una sanzione punitiva alla mancata vaccinazione, ma una positiva – come vantaggio in termini fiscali - all’avvenuta vaccinazione.

L’incentivo economico potrebbe “funzionare”, cioè indurre a farsi vaccinare, in modo molto più efficiente dell’ossequio a doveri costituzionali - qual è quello di solidarietà sociale - che nella maggior parte dei casi non sono intimamente percepiti dai singoli individui.

Ridurre l’obbligo a un beneficio economico, oltre a non essere pienamente aderente all'idea di dovere verso la comunità che finora è stata portata a giustificazione anche dell’obbligo vaccinale, potrebbe creare un precedente politicamente difficile da gestire.

La distribuzione del vaccino

Al momento, la vaccinazione anti Covid-19 potrebbe essere richiesta dal datore di lavoro, ai sensi del cosiddetto Testo Unico Salute e Sicurezza, ai lavoratori specificamente esposti al virus. Per il personale sanitario la richiesta di sottoporsi al vaccino potrebbe farsi discendere dalla circostanza che la tutela della salute dei pazienti connota la prestazione lavorativa di medici e infermieri. In questi casi, tuttavia, non vi sarebbe comunque un obbligo generalizzato, per il quale servirebbe un intervento legislativo, ma solo un adempimento attinente a specifici rapporti contrattuali.

Spostando ancora più in là le lancette del tempo, l’obbligo nei luoghi di lavoro potrebbe diventare la testa d’ariete per una distribuzione e somministrazione parallela a quella del servizio sanitario nazionale – ai sensi del Testo Unico, il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori il vaccino, da somministrare a cura del medico competente - che possa accelerare l’impegno a una vaccinazione di massa.

A oggi, infatti, l’acquisto, la distribuzione e la somministrazione sono esclusivi del sistema sanitario pubblico. Sperando in una sempre maggiore capacità produttiva, l’obbligo nei luoghi di lavoro potrebbe configurarsi come diritto di vaccinarsi attraverso un canale alternativo e parallelo a quello pubblico, che resterebbe comunque a presidio e garanzia dei livelli essenziali di assistenza, sollevato tuttavia dall’onere di dover fornire la vaccinazione a chi sceglie di ottenerla sul mercato.

Più che dibattersi tra comandi e obblighi, ragionare del diritto di (tornare a) lavorare in sicurezza potrebbe essere la via per tornare prima possibile a una vita normale.

Articolo estratto dal paper dell’Istituto Bruno Leoni “La vaccinazione tra diritti e doveri”. Serena Sileoni è vicedirettore generale dell’istituto Bruno Leoni.

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