Accanto ad altri interventi strutturali il governo appena insediato promette “la riforma dell’amministrazione pubblica” … “con anche la realizzazione di piattaforme efficienti e di facile utilizzo da parte dei cittadini” (Mario Draghi alle Camere). Promesse ricorrenti come questa non sono sempre rimaste lettera morta.

Per esempio, il livello di interconnessione delle banche dati fiscali raggiunto in Italia non ha molti eguali nel mondo e la dichiarazione dei redditi precompilata è un meritato vanto della nostra amministrazione tributaria.

Questo ci ricorda che non tutta la pubblica amministrazione viaggia con la stessa marcia e che invece de “la riforma” servono azioni mirate su specifici segmenti del sistema burocratico. Due esempi forse danno l’idea.

Gli archivi dei comuni

Primo. Alcuni comuni, grandi ed efficienti, hanno già digitalizzato i loro archivi e sono passati a una gestione completamente telematica delle pratiche edilizie. I residenti e i professionisti che operano in quei comuni sono ben felici di pagare una piccola cifra per ogni pratica gestita in tempi stretti e con pochi click, quindi di fatto a un costo inferiore di chi deve ancora fare i conti con archivi cartacei e documenti da protocollare negli uffici comunali.

Quei soldi ripagano rapidamente l’investimento, che risulta quindi a saldo zero per le casse pubbliche, oltre a snellire il lavoro amministrativo.

Per generalizzare questo meccanismo servirebbe solo una spinta adeguata da parte delle regioni o dello Stato, che induca i comuni ad andare nella direzione giusta, approfittando magari di questa occasione per arrivare a una effettiva standardizzazione della modulistica e di altri aspetti oggi inspiegabilmente differenziati da comune a comune.

MEPA non è Amazon

Secondo. Se un privato ha bisogno di un computer come di un qualsiasi altro strumento di lavoro, con un click compra l’oggetto su Amazon e gli arriva al massimo in qualche giorno, spesso a un prezzo più basso del listino.

In una amministrazione pubblica bisogna passare dal MEPA (il Mercato Elettronico della pubblica amministrazione, per ordini fino a 207.000 euro).

Doveva essere l’architrave di una rivoluzione per calmierare i prezzi, rendere il sistema degli acquisti trasparente, semplificare i flussi procedurali. In sostanza, doveva essere, con le dovute differenze, l’Amazon della pubblica amministrazione.

Una parte di questi obiettivi sono stati raggiunti. Come di consueto, soprattutto quelli di carattere formale. Gli acquisti sono perfettamente tracciabili. L’incrocio tra domanda e offerta risulta impersonale.

Il sistema è efficiente? In una unità amministrativa per niente complessa, come un dipartimento universitario, per ottenere un acquisto attraverso il MEPA vengono coinvolte quattro unità di personale, oltre a chi chiede di acquistare il bene e a chi autorizza la spesa.

Dal momento in cui il procedimento inizia e quello in cui l’oggetto diventa disponibile, se va bene passano due mesi. Ma alcuni dipartimenti, in ossequio ai sacri princìpi di “non-frammentazione, programmazione ed economicità dell’azione amministrativa nelle procedure di acquisto” effettuano gli ordini solo due volte all’anno. Per cui se l’esigenza si manifesta in un momento sfortunato, e non se ne certifica l’urgenza, i mesi diventano nove.

Questo non vuol dire che il prezzo sarà particolarmente vantaggioso perché il MEPA non ha un motore di ricerca che consenta confronti competitivi o che per le piccole imprese sia più facile partecipare alle gare. Per il tipo di acquisti comparabili, non è più economico di Amazon e offre meno scelta.

Quanto alla funzionalità della piattaforma, circolano varie lamentele. Proprio mentre ne stavo scrivendo, sul portale è apparso questo messaggio: «Nel corso della mattinata si sono riscontrati dei problemi di raggiungibilità della piattaforma www.acquistiretepa.it. La connettività è stata rispristinata alle ore 11.30. Si invitano pertanto le Stazioni appaltanti a valutare eventuali azioni di proroga sulle gare in scadenza».

 Viene il dubbio che non sia una coincidenza e che problemi del genere non siano rari.

Cosa farà Draghi

In passato “la riforma amministrativa” è finita in mano a prìncipi del diritto abili a stilare grandi princìpi (come quelli citati in precedenza, utilizzabili per giustificare qualsiasi cosa) o a politici desiderosi di comunicare slogan accattivanti (tipo la lotta ai fannulloni) invece che a policy makers curiosi, moderni, avidi di risultati.

Sarà questa una delle volte buone? Quali piattaforme creerà o renderà più efficienti il governo Draghi? Di quanto accorcerà la distanza tra il Mepa e Amazon?

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