Il mercato del lavoro italiano è pieno di contraddizioni. Da un lato abbiamo un elevato livello della disoccupazione, ancora prossima al 10 per cento, mentre molte imprese lamentano la carenza di manodopera e non solo di quella specializzata. Il tasso di attività è estremamente basso, specie per le donne, mentre i sindacati chiedono sistemi di pensionamento anticipato: la Cgil ha fatto una pubblicità sui giornali per dichiarare la sua soddisfazione per aver ottenuto la pensione anticipata per i lavoratori delle costruzioni, malgrado il settore sia in pieno boom e con carenza di manodopera.

I salari italiani sono tra i più bassi in Europa ma le imprese lamentano costi di produzione troppo elevati: vedere l’intervista dell’amministratore delegato di Stellantis Tavares e le richieste di Confindustria di abbattere il cuneo fiscale riducendo i contributi previdenziali, dopo che le imposte sono state quasi azzerate per i redditi più contenuti. Come uscire da queste contraddizioni?

Per riallineare domanda e offerta di lavoro è necessario ricostruire un po’ di mobilità sociale. I disoccupati si trovano spesso in località dove non c’è domanda di lavoro per carenza d’imprese. Molte politiche sono state fatte per favorire la nascita d’imprese la dove c’è la manodopera.

Vanno rinforzate, ma al tempo stesso vanno elaborate politiche per favorire lo spostamento della manodopera lì dove sono le imprese. Si tratta di elaborare, assieme alle imprese, progetti di formazione e incentivi temporanei per quanti accettano di cambiare residenza per il lavoro, al fine di ridurre il peso del costo di abitazione e di ambientazione nella nuova destinazione, senza troppi tabù verso nuove forme di migrazione interna.

Welfare e immigrazione

Un fattore che favorisce mobilità e lavoro è poi costituito da buoni servizi sociali. Asili nido, assistenza agli anziani, residenze a basso costo, uffici di orientamento sono tutti fattori rilevanti per favorire l’occupazione femminile, ma anche quella maschile, dato che, con il calo demografico, molte famiglie hanno un solo figlio/a che a volte esita a lasciare la sua residenza per non abbandonare la disponibilità di una abitazione e i genitori senza assistenza.

C’è poi la vasta area dell’immigrazione, ufficiale e clandestina, che potrebbe fornire un elevato numero di lavoratori disponibili a recarsi dove c’è il lavoro, se si desse loro una formazione e un permesso di soggiorno, ciò che favorirebbe la disponibilità di manodopera e l’integrazione di questi nuovi cittadini, rendendo più sicure le nostre città. Una simile opzione può dispiacere a qualche sovranista, ma serve al paese e alla società e quindi va attuata senza remore e falsi pudori.

Sul sistema pensionistico, è ora di introdurre una flessibilità all’uscita che consenta a chi vuole terminare prima, di uscire dal lavoro con una pensione correlata non solo ai contributi versati, ma anche agli anni di presumibile godimento della stessa: ovviamente, prima si esce dal lavoro, più anni si godrà della pensione e quindi minore dovrà essere il suo ammontare. La scelta la farà il lavoratore sulla base delle sue esigenze e di eventuali altri redditi.

Quanto al costo del lavoro, ormai appare chiaro che il problema non sono i salari e neppure il cuneo fiscale, semmai quello contributivo, che tuttavia è salario differito (pensioni future) e, quindi, non può essere considerato alla stregua di un onere da evitare.

Qui il problema può essere risolto essenzialmente con una migliore organizzazione della produzione, cosa che chiama in causa la capacità degli imprenditori e dei manager. Molte nostre imprese (non tutte ovviamente) sono organizzate in modo tradizionale, poco digitalizzate e con scarso coinvolgimento dei lavoratori nella scelta di soluzioni che potrebbero favorire una maggiore produttività.

Vanno cercate soluzioni innovative: la digitalizzazione non deve essere la riproduzione pedissequa delle procedure tradizionali, ma deve portare a un cambio organizzativo che faccia fare un salto alla produttività delle imprese, ciò che rappresenta anche la migliore soluzione per una riduzione dei costi di produzione.

Le molte contraddizioni del mercato del lavoro italiano indicano, in definitiva, che c’è ancora molto da fare per il governo, per le imprese e per i sindacati, ma che ci sono molti spazi per un netto miglioramento.

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