9 novembre 2030. Un sogno ad occhi aperti, che coinvolge sessanta milioni di italiani e che si chiama scuola. Quella che vorremmo, da sognare tutti assieme, da realizzare tutti assieme. Eccolo: i ragazzi e le ragazze non usano i banchi, con o senza rotelle, ma vivono la relazione tra loro e con gli insegnanti come componenti fondamentali della loro crescita; studiano, certamente, ma accompagnano lo studio con l’apprendimento attivo, learning by doing; vanno e vengono da quel grande edificio, dove a volte si ritrovano tutti assieme, perché in realtà tutta la città è diventata un luogo di educazione continua, a partire dal contatto diretto con esperti, scienziati, imprenditori, professionisti.

Ancora: il voto non è più l’unico elemento di giudizio; il digitale è una componente essenziale e funzionale all’apprendimento, gratuito e accessibile a tutti; l’edificio scolastico è abitato tutto il giorno, e anche la sera, diventa perno della vita sociale del quartiere, spazio aggregativo, incontro di diverse generazioni e specchio della complessità non solo dell’apprendimento ma della vita di relazione, della crescita, del movimento continuo alla scoperta di sé e degli altri.

Sarà questa la scuola che ci attende? Dobbiamo provarci, ne va del nostro futuro, e dobbiamo farlo a partire dall’ascolto delle aspirazioni e dalle esigenze di chi oggi la scuola la vive, primi fra tutti i bambine/i e ragazze/i.

A febbraio abbiamo creduto che fosse finalmente giunta l’occasione e l’opportunità di attuare una trasformazione dei modi di fare scuola, sul piano della didattica, degli spazi, delle relazioni e dei linguaggi.

Invece nulla sembra essere cambiato. Ci troviamo immersi di nuovo nella gestione dell’emergenza con un sistema che fatica ad andare oltre a questioni tecniche, a guardare oltre se stesso e ad intestarsi il ruolo di traino nel processo di trasformazione che parte dalle nuove generazioni ed ha un impatto su tutti noi.

Eppure l’emergenza Covid qualcosa ce l’ha insegnata: abbiamo capito che della scuola come spazio di socialità, di aggregazione e di incontro fra le diversità non possiamo proprio fare a meno. E’ apparso evidente a tutti che il grande sistema della conoscenza (scuole, librerie, musei, cinema, teatri) è ancora il vettore principale di mobilità sociale, in un Paese che altrimenti rischia di acuire disuguaglianze e segregazione.

Il governo è in ascolto o la reazione alle urgenze sanitarie impedisce davvero una risposta strategica, di lungo respiro che raccolga la sfida di una relazione con i cittadini, costruttiva, ampia e matura?

Nel tentativo di rispondere all’emergenza in un modo diverso e di proiettarsi in un orizzonte di lungo periodo, in questi mesi si è mobilitato un insieme di energie del territorio che si riconoscono nel progetto di Scuola Sconfinata. Sconfinare la scuola significa promuovere nuove forme, spazi e percorsi dell’apprendimento in equilibrio tra analogico e digitale, definendo modelli che riconoscano noi tutti come una “comunità educante”.

Sconfinare vuol dire sondare piste radicali e alternative per un intreccio funzionale tra la scuola, nella sua vocazione pubblica e plurale, e i contesti di vita di cui tutti noi siamo attori.

La Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e il movimento “E tu da che parte stai?” hanno deciso in questi mesi di attuare un percorso nazionale di ricerca utilizzando l’ascolto e l’inclusione di reti territoriali che operano in contrasto con le povertà culturali ed economiche e di quelle che favoriscono, con la propria attività, la coesione sociale attraverso occasioni diffuse di apprendimento. Siamo partiti da Milano passando per Genova, Roma, Napoli e Taranto. In queste città abbiamo organizzato numerosi laboratori nei quali ci siamo offerti come collettori di esperienze da sottoporre all’attenzione della politica. Abbiamo avuto l’occasione di toccare con mano la forza e la vitalità dei molti progetti che già oggi, nelle diverse aree del Paese, praticano forme innovative di scuola ed educazione.

E siamo giunti ad una convinzione: la prospettiva che abbiamo davanti come Paese è già in atto, serve farne una sintesi e diffondere una rinnovata cultura della scuola, adottando una relazione costruttiva con le nuove tecnologie, con la dimensione trasformativa delle nostre città e con le dinamiche evolutive del mercato del lavoro. Ma dando anche una nuova chance ai cittadini, alla nostra dimensione di comunità.

Come? Non consegnando le giovani generazioni a reiterare i modelli che abbiamo vissuto noi ma intestandoci tutti assieme la responsabilità di rendere migliore il loro percorso di apprendimento, e contestualmente la nostra vita. Un lavoro che rimane sulla carta e appunto si relega alla dimensione del sogno? Tutt’altro.

Ecco tredici proposte, da implementare anch’esse con un approccio inclusivo, come esito del lavoro congiunto di scuole, istituzioni pubbliche, enti del Terzo Settore ed entità private di diversa natura:

  • Mettere la salute bio-psico-sociale al centro dei processi educativi
  • Diffondere le esperienze educative in una pluralità di spazi di apprendimento
  • Progettare una didattica modulare orientata all’esperienza, alla valorizzazione delle specificità di ciascuno e allo sviluppo della cittadinanza globale
  • Garantire classi con numeri ridotti
  • Individuare e progettare nuovi spazi educativi per l'apprendimento dentro e fuori la scuola
  • Attivare equipe multiprofessionali nelle scuole,
  • Investire nella stabilizzazione dei docenti;
  • Formare insegnanti, educatori ed educatrici alla co-progettazione, all’analisi dei bisogni, all’ascolto, al lavoro in team, al digitale
  • Riconoscere adeguati momenti per la formazione continua di insegnanti e personale scolastico
  •  Rendere protagonisti bambine e bambini, ragazze e ragazzi
  • Coinvolgere i genitori e promuovere una scuola-comunità
  • Abilitare territori educanti a responsabilità diffusa e coordinata
  • Progettare un piano infrastrutturale per la digitalizzazione della scuola e delle comunità-quartieri

Le risorse saranno fondamentali per l’attuazione di questo progetto, ma ancor di più saranno necessarie pratiche di relazione tra i territori perché ci sia condivisione tra esperienze di progettazione allargata e modelli di sinergie tra scuola ed extra scuola: tutti elementi che potranno consentire alla scuola sconfinata di realizzarsi.

Se non è questa una dimensione moderna di “interesse pubblico”?

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