La nomina di due consiglieri nel board di Exxon, la maggiore compagnia petrolifera americana, e la sentenza di un tribunale olandese che ha imposto a Shell di accelerare la riduzione delle emissioni nocive sono due recenti successi degli ambientalisti che avranno un effetto duraturo sul settore petrolifero.
Un successo anche per l’ambiente? Non nel breve termine. La quantità di emissioni nocive è determinata dalla domanda di petrolio, e quella per i trasporti è in forte crescita con l’uscita delle economie dal Covid (con un parco mezzi dove domina ancora il petrolio).

L’aumento della domanda, unitamente al taglio degli investimenti nell’estrazione delle compagnie private, ha fatto aumentare del 40 per cento il prezzo del Brent da inizio anno, un trasferimento di ricchezza alle cosiddette National Oil Companies (Noc) di Russia, Cina e Medio Oriente, che stanno rimpiazzando i minori investimenti occidentali e comperando le attività che compagnie come Shell devono vendere per ottemperare al decreto del Tribunale e alle pressioni di governi e opinione pubblica. Così gli investimenti nell’esplorazione nel mondo rimangono pressoché costanti, ma sale dal 48 al 63 per cento la quota dei Noc. Non è una vittoria per l’ambiente e i consumatori.
Si glissa poi sulla differenza tra intensità delle emissioni (emissioni per unità di energia) e il loro livello assoluto. I piani di molte compagnie hanno obiettivi in termini di intensità: poiché il gas naturale ha una minore intensità del greggio, possono raggiungere gli obiettivi producendo più gas e meno petrolio, senza una corrispondente diminuzione di emissioni. Anche perché sul gas si farà affidamento per molti anni ancora: lo dimostrano gli elevati investimenti alla ricerca di nuovi giacimenti e nella costruzione di enormi infrastrutture (come il North Stream per il gas russo destinato alla Germania). Così anche il prezzo del gas naturale è aumentato del 50 per cento da inizio anno.
Si stima poi che circa un terzo delle emissioni sia causato dall’industria pesante (chimica, cemento, o acciaio) e dalle costruzioni. Per ridurle l’Europa vuole tassarle in modo significativo con una riforma del sistema dei certificati per l’inquinamento (emission trading scheme); ma per non avvantaggiare i produttori nel resto del mondo, verrebbero introdotte tariffe compensative. I maggiori costi verranno inevitabilmente scaricati sui prezzi dei beni finali e alla fine sarà il consumatore a pagare. Se poi i governi volessero sussidiare queste industrie, dovrebbero finanziarle con una carbon tax (come in Germania) che, ancora una volta, grava sui consumatori, e pure in modo regressivo.

Gli investimenti necessari

Per ridurre le emissioni, poi, l’industria automobilistica punta esclusivamente sull’auto elettrica e per questo in Europa si stanno costruendo ben 38 gigafactory per la produzione di batterie, creando un problema enorme su come riciclarle in futuro (durano 15 anni); senza contare i costi ambientali per l’estrazione di cobalto, minerali rari, nickel e rame
necessari alla produzione, e l’aumento vertiginoso dei loro prezzi.

Si risolve un problema, se ne crea un altro.
Per la transizione green bisogna produrre abbastanza elettricità da fonti rinnovabili per sostituire le centrali esistenti, alimentare il nuovo parco auto e produrre idrogeno per le industrie inquinanti e i trasporti pesanti. Servono investimenti giganteschi nell’eolico e solare, che però nessuno li vuole perché deturpano il paesaggio e spiazzano l’agricoltura: leggo sul Sole 24 Ore che all’ultima asta in Italia sono stati aggiudicati appena 74 su 1581 megawatt offerti. Senza contare che molti pannelli, come tanti altri manufatti, sono prodotti in Cina, dove usano prevalentemente il carbone per l’elettricità necessaria a fabbricarli. Una vittoria di Pirro per l’ambiente.
La domanda di aria pulita e la cura dell’ambiente è diventata un’esigenza primaria che ha spinto i governi Europei a darsi l’obiettivo ambizioso del net zero nel 2050. Un obiettivo a lungo termine dalla facile presa sull’opinione pubblica, ma poco impegnativo perché non specifica la traiettoria per raggiungerlo, né chiarisce quale sarà il conto che alla fine il cittadino europeo dovrà pagare.
Come dice il proverbio, la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.

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