Il discorso di ieri della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen mi è piaciuto più di quanto mi aspettassi. Dinamico e ambizioso, molto chiaro sulle priorità, anche se su temi importanti è rimasto vago: in questo suo primo discorso sullo stato dell’unione, momento importante per misurare l’autorevolezza della presidente dell commissione ha dimostrato una leadership e una maggiore sicurezza; al di là dei contenuti, il tono conta, l’energia che si trasmette anche. In altri interventi mi è sempre sembrata una persona fredda e un po’ burocratica; non era facile capire che cosa davvero pensasse o volesse.

Il discorso
Stavolta è emersa un bel po’ di sostanza, persino di cuore e di agio nel dirigersi al parlamento europeo, che, nonostante un atteggiamento spesso critico, le sa essere il suo migliore alleato.
Von der Leyen ha ben dato l’idea dell’enorme massa di cose da fare, di norme da adottare, di decisioni importanti da prendere. Il senso di una commissione in marcia che, se inciampa e si ferma, è per via dei limiti di un sistema decisionale incatenato al diritto di veto, vero cancro del sistema comunitario.

Chi si lamenta della lentezza delle decisioni europee accetti che su sanzioni e politica estera si passi al voto a maggioranza, ha detto.

Purtroppo però, la presidente si è fermata all’auspicio e non ha messo questa considerazione nel quadro di una volontà concreta di riaprire il cantiere delle riforme, come avrebbe potuto e forse dovuto; peraltro, il problema di blocco sistematico rappresentato dal potere di veto si verifica in molti settori e non solo in politica estera; dal clima, alla tassazione, alle prospettive finanziarie, alla sicurezza sociale alla politica fiscale e quella sulla migrazione… praticamente tutti i settori nei quali l’unione europea va a rilento sono quelli nei quali chiunque può alzare il ditino e dire no.

È chiaro che il superamento del voto all’unanimità sarebbe la vera riforma di rottura con i limiti e l’impotenza della Ue.

I temi
La presidente von der Leyen è un medico, quindi è normale che abbia criticato la cancellazione da parte del Consiglio europeo di luglio dei circa 9 miliardi che la Commissione aveva proposto per l’iniziativa EU4Health. E sarà dalla parte del parlamento nella battaglia per rimetterne almeno un po’ nel bilancio; prevedibile anche la richiesta che la Conferenza sul futuro della Ue proponga di allargare le competenze della Ue in questo settore.

La presidente della Commissione è stata anche ministro degli Affari sociali e quindi, pur se esponente di un partito conservatore, è comprensibile la sua energia nel volere arrivare alla proposta - che sarà molto difficile - di un accordo quadro per un salario minimo di livello europeo, superando un vero e proprio tabù nel dibattito europeo.

Mi è anche piaciuto il grande spazio dato al razzismo, tema uscito ormai da anni dalle priorità di azione della UE e oggetto in passato di stanchi e poco convinti accenni senza sostanza. Il piano di azione sul razzismo è una buona notizia, ma perché si faccia sul serio ci vuole una proposta legislativa.

Anche sui diritti umani, la presidente è stata meno ambigua dei suoi predecessori José Barroso e Jean Claude Juncker. Ma anche in questo caso, se è chiaro il riferimento alla Bielorussia ed esplicite le lodi ai coraggiosi difensori della democrazia, è stata molto più defilata sulla Turchia e generica su Cina e Hong Kong. Ma d’altra parte, poco si può fare in assenza di strumenti di decisione comuni su una linea di politica estera unitaria. Anche in questo caso i freni e le gelosie degli stati membri rappresentano un limite per ora non superabile.

Sulla migrazione, spinta anche dalle molte sollecitazioni emerse durante il dibattito dopo i fatti terribili di Moria, von der Leyen ha annunciato la fine del Regolamento di Dublino e una proposta di piano di azione che uscirà la prossima settimana. Vedremo.

Siamo in ritardo di più di tre anni su questo tema, dato che la Commissione Juncker aveva già fatto una (modesta) proposta, poi molto modificata e migliorata dal Parlamento europeo nell’ormai lontano novembre 2017.

Il Green Deal
Quanto al Green Deal, la proposta che verrà spiegata oggi dal vice presidente della Commissione Frans Timmermans di alzare dal 40 al 55 per cento l’obiettivo di riduzione delle emissioni al 2030 e la conferma di volere azzerarle nel 2050 rappresenta una proposta già anticipata in molte occasioni ma è comunque una sfida importante, che non sarà facile realizzare ed è esposta al rischio di quella che Ska Keller, la capogruppo dei Verdi europei, ha chiamato “contabilità creativa” e cioè la tentazione di fare passare tecnologie e investimenti fossili per quasi verdi. Evidente il riferimento al gas e all’idrogeno, più volte menzionato dalla presidente.

Inoltre, questa proposta deve superare il vaglio dei governi nazionali; per fortuna in questa materia il parlamento europeo dispone del potere di codecisione in questa materia e ha una posizione molto ambiziosa (la sua commissione ambiente propone addirittura di arrivare al 60 per cento).

Sarà una battaglia molto dura con lobby e gruppi di pressione potenti perché ormai si sa: uscire dalla dipendenza dai fossili entro pochi anni significa fare scelte chiare e orientare gli investimenti pubblici in favore di efficienza energetica e rinnovabili. C’è poco spazio per altro.


I prossimi mesi saranno il banco di prova non solo della Commissione von der Leyen, ma di tutta la Unione europea, intesa come le sue istituzioni i suoi stati membri ma anche tutti e tutte noi.

Se c’è una cosa che la presidente è riuscita a fare passare chiaramente ieri è che questa è una sfida da vincere o perdere insieme. Nessuno si senta escluso.

Monica Frassoni è presidente della European Alliance to Save Energy e del European Center for Electoral suppo

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