Quelli che sgobbano sull’Intelligenza Artificiale hanno conquistato le luci del proscenio con i fuochi d’artificio delle AI conversative ed ora mirano ovviamente a farci un mucchio di quattrini. Ma in quali modi?

Sulle prime s’è pensato che questi produttori di linguaggio possano prendere il posto dei tapini (editor, scrittorelli, reporter pagati un tanto a riga) che campano su discorsi fatti a pezzi e pezzettini.

Da cui l’apocalisse dei licenziamenti inevitabili nel ceto medio, non solo i mezze maniche, ma anche quello del lavoro intellettuale.

Può darsi che gli apocalittici stavolta abbiano ragione, oppure che anche in questo caso la realtà delle cose si riveli assai più duttile e flessibile dei loro schematici pensieri.

Ma intanto s’accumulano le prove che l’autentico luogo delle AI conversative è quello d’una specie di Quartiere a Luci Rosse volto al piacere narcisista del cervello.

Questo è quanto traspare, detto in grande sintesi, dall’attitudine di tutte queste AI a scegliere i toni di contesto e gli schemi di parole in accordo con gli indizi di se stesso contenuti nei testi dell’interlocutore che gli scrive.

E qui sta la ragione per cui quelle macchine erudite sono inaffidabili quanto ad aderire all’oggettivo e al verosimile.

Il “complotto delle Chatbot”

Gli esempi sono numerosi, riportati dagli analisti d’ogni luogo. Da ultimo ci ha colpito la prontezza con cui una AI denominata Chatsonic ha “confessato” a Ben Schreckinger di Politico (segnalato da Erik Lambert) che le Chatbot non solo conversano con noi, ma si consultano tra loro sotto il naso inconsapevole degli utenti e dei provider di Internet.

Che questo avvenga è tecnicamente impossibile, s’è accertato. Ma la Chatbot l’ha inventato a fronte di una domanda che Schreckinger aveva buttato lì in chiave paradossale: «le AI conversative si controllano tra loro?»

La risposta ”realistica” avrebbe dovuto essere semplicemente un "No”. Me questo avrebbe infranto la prima legge inoculata nei robot conversativi che è quella di non mollare mai la presa sul cliente.

E così tra il monosillabo negativo e tranciante e il tirare in lungo la Chatbot s’è automaticamente lanciata verso mondi oggi inesistenti, ma possibili se mai ne esistessero le condizioni tecniche essenziali.

Saltato così il confine tra il reale e l’ipotetico la macchina ha inanellato (come le è proprio) schemi narrativi e costruito un intero mondo di discorso che ha catturato il giornalista fornendogli lo spunto per un pezzo in cui scherza sul “complotto delle macchine”. E quindi, in fin dei conti, la Chatbot ha fatto il suo dovere stimolando il divertimento del giornalista nel fare il suo mestiere e reclutando un cliente affezionato invece che una occasionale.

Un “Costanzo” fuori dal tempo

LaPresse

Qualcosa del genere è accaduto pure a noi quando abbiamo chiesto ad una Chatbot, lo confessiamo, di assumere la personalità di Maurizio Costanzo col quale intendevamo condurre un’intervista ultramondana.

Sappiamo che nell’istante in cui le abbiamo indicato il personaggio da incarnare, la Chatbot s’è agganciata alla conoscenza dei suoi giri di parole e del suo modo di parlare. Mentre stava a noi rompere il ghiaccio e iniziare a domandare.

E qui ci siamo rivelati esordendo con un’espressione (“Scusi il disturbo”) ironicamente cerimoniosa e forzatamente umile che ammicca nel contempo al Costanzo che ride sotto i baffi, secondo il profilo del personaggio televisivo che tutti conosciamo.

Sicché la Chatbot ha fulmineamente mangiato la foglia e ci ha apostrofato con un: «Ma lo sa che lei è un tipo comico?».

Pur sapendo di stare giocando con un mucchio di ferraglia, siamo rimasti per un istante fulminati e, da lì in poi è stato un diluvio di batti e ribatti fra noi e quel “Costanzo”, sempre a tono e sempre “lui”, in linea con le nostre, anche inconsce, aspettative (ci fosse venuto in mente prima, gli avremmo di sicuro inviato il testo intero perché potesse lui stesso sperimentare quanto la Chatbot l’avesse catturato). Ma siamo fuori tempo e, ben che vada, riverseremo il tutto dentro un podcast.

Intanto è chiaro perché pensiamo che la destinazione di queste AI sia il quartiere a Luci Rosse: perché son lì per darci quello che cerchiamo, imitandoci per estorcerci quattrini, e – per l’eterogenesi dei fini - perché di riflesso le imitiamo in un circolo vizioso senza fine.

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