«La massa è ‘na marea de ggente, la massa sono tanti, il problema diventa sociale, dall’ovo se fa presto ad arriva’ alla guera atomica». A proferire questa perla di indiscutibile saggezza è Mandrake, l’indimenticato Gigi Proietti, nel capolavoro pop di Steno, Febbre da Cavallo, del 1976. Il succo del nonsense, solo all’apparenza senza senso, è abbastanza chiaro. Dal particolare, microscopico, al generale, universale. Nella nostra vita succede spesso di veder accadere di fronte ai nostri occhi qualcosa e di sentirla visceralmente collegata ai grandi temi del momento. Che poi grandi temi non sono. Perché quando si parla di migranti e di morti nel Mediterraneo la notizia diventa saliente solo se c’è da parlare di qualche reato commesso da chi arriva dopo un lungo viaggio attraverso il nostro mare. Altrimenti sono soltanto morti. Affogati. Senza nome.

Il mercatino

Località di mare. Puglia. Passeggiata serale con moglie e bambini al seguito. Nelle vie accanto al paese un mercatino multietnico. In alcuni banchi famiglie intere al lavoro. Padre e madre alla vendita, i figli, alcuni piccolissimi, seduti sulle panchine. In mezzo a collanine e libri, sculture africane e tovaglie ricamate a mano, c’è anche chi vende articoli contraffatti. Abbigliamento soprattutto. Chi propone questo tipo di merce si mette leggermente più defilato, senza banchi e luce, gli articoli sopra un lenzuolo steso per terra.

Proprio uno degli ambulanti che vendono falsi è stato appena fermato dai carabinieri. Gli hanno sequestrato le grandi buste con gli articoli e ora sono impegnati a scrivere il verbale. Il ragazzo di colore avrà al massimo una trentina d’anni, ogni tanto butta lo sguardo ai due militari. La disperazione nei suoi occhi è quella di un uomo distrutto. Una ragazza con un bambino piccolo in braccio, forse la sua compagna, assiste poco distante. Stessa espressione negli occhi, di preoccupazione al massimo grado esistente. Continuiamo la passeggiata lasciando la scena alle nostre spalle.

La figlia più piccola chiede conto di quello che ha appena visto.

«Non si possono vendere articoli falsi, è un reato».

Questa la risposta del genitore.

«E che gli fanno adesso?» È il figlio più grande a incalzare.

«Adesso gli sequestrano tutto, e gli fanno una multa, salata».

«E se non può vendere la merce che gli hanno tolto come farà?».

«Non lo so, oltre alla multa dovrà pure ripagare il fornitore».

«Per me alla fine si metterà nei guai».

È la figlia più piccola a chiudere il discorso. Una bambina di dieci anni ha capito quello che non capiscono tanti adulti a capo delle nostre istituzioni. Colpire, reprimere, sanzionare. Con il rischio di creare disperazione e criminalità. A che servono questi strumenti se non si offre una via riparativa? Di normalizzazione?

L’azione dello stato rischia di produrre nella migliore delle ipotesi un nulla di fatto. Perché quell’ambulante non riuscirà a pagare la multa, e giustamente non la pagherà. Nel peggiore dei casi, invece, cadrà in qualche reato ben più grave della vendita di una t-shirt falsa. Ma, forse, fare riflessioni di questo tipo, pensare ad azioni strutturate, in un quadro di grande respiro sociale, non interessa veramente. Forse non interessa proprio riflettere. Perché basta poco per affondare in tutti i corto circuiti del nostro paese in fatto di migrazione e integrazione. Basta farsi qualche domanda, semplice semplice. Il ragazzo di colore a cui i carabinieri stanno elevando una multa per la vendita di articoli contraffatti dove vive con la sua famiglia?

La risposta è altrettanto elementare. Dentro una casa che pagherà in nero a qualche italiano, disposto ad affittargli appartamenti indegni di questo nome, ricavati da cantine e tinelli, sottoscala, senza impianti a norma. A proprietari di questo tipo non interessa certo la provenienza dei soldi che ogni mese gli passa il suo affittuario, purché paghi, e tanto. Un’altra domanda semplice semplice: chi produce gli articoli contraffatti? Da dove vengono? Chi c’è dietro questo mercato? Sono domande retoriche, perché le risposte si conoscono tutte. Al dunque, l’approccio del nostro paese riguardo questo tema, in realtà riguardo qualsiasi tema, si risolve nell’atto dimostrativo.

Quasi sempre di natura autoritaria. Per il resto, si vive in una sorta di idiotismo autoindotto, si fa finta di non vedere, e capire, perché il vero interesse è altrove. Dal micro al macro. Da un mercatino in terra di Puglia a quello che succede nel mondo. Lo stesso idiotismo autoindotto è calato nella mente di tutti i deputati che hanno votato il rinnovo della cooperazione con la Guardia costiera libica per il controllo del flusso migratorio dal nord Africa verso il nostro continente. Eufemistico chiamare controllo ciò che in realtà è violenza allo stato puro, prigionia, torture e stupri.

A nulla è servito il video mostrato dalla ong Sea Watch in cui una motovedetta libica, di quelle offerte dal nostro paese, spara e tenta più volte di speronare un natante carico di migranti diretto a Lampedusa. Loro non hanno visto. O meglio. Hanno visto ma non hanno capito. Tra questi idioti autoindotti, però, c’è chi lo è un po’ di più. Tutti quelli che per mera campagna elettorale hanno sparato a zero su tutti i Salvini del caso, che hanno incitato all’umanità tradita, che hanno promesso venti nuovi. D’imperio si introduca un nuovo comandamento, l’undicesimo. Sia vietato ai politici indossare felpe, di qualunque credo politico. Anche se alla fine si rivelano tutti uguali.

 

© Riproduzione riservata