Dopo aver sottoscritto un appello contro il green pass che evocava paragoni con la Shoah, il noto storico Alessandro Barbero ha perso un’altra ottima occasione per stare zitto. O forse no, forse la sua intervista alla Stampa è preziosa perché rivelatrice di quanto dannosi possono essere i pregiudizi di una persona che può influenzare le opinioni di milioni di altre. Barbero presenta una sua serie di lezioni dedicate a donne che hanno avuto “il coraggio di rompere le regole”.

Facile avere una buona opinione delle donne che hanno avuto successo. Delle altre Barbero pensa che siano, come dire, inferiori: «Ci sono donne chirurgo, altre ingegnere e via citando, ma a livello generale, siamo lontani da un’effettiva parità in campo professionale. Rischio di dire una cosa impopolare, lo so, ma vale la pena chiedersi se non ci siano differenze strutturali fra uomo e donna che rendono a quest’ultima più difficile avere successo in certi campi».

Se lo sono chiesto in tanti, da decenni, ma Barbero era fermo a Cleopatra e Dante, dunque non se ne è accorto. La risposta non gli piacerà: se ci sono poche donne ingegnere o generali, la colpa è di quelli come lui, degli educatori, non del Dna, di Dio, o della conformazione del cervello.

In un contesto in cui le donne faticano ad avere successo, quelle che ci riescono devono essere particolarmente brave perché sono state capaci di battere la concorrenza di uomini che partivano avvantaggiati. Dunque, non sono indicative della media. E le altre?

Barbero dice che mancano di «aggressività, spavalderia e sicurezza di sé» e dunque non riescono ad affermarsi. Ma allora la domanda diventa: perché ne sono prive? Perché le donne sono inferiori? Perché nascono con un carattere più sottomesso determinato dai geni? O c’è qualche fattore esterno che, al di là di meriti e talenti individuali, le spinge a questa rassegnazione?

Ci sono tonnellate di letteratura economica che hanno cercato risposta a questa domanda. Prendiamo uno studio di Victor Lavy (Warwick) e Edith Sand (Tel Aviv University) su Israele: gli studenti israeliani vengono valutati sia dai professori in classe che in vari test nazionali, nel primo caso il docente conosce il sesso dello studente, nei test anonimi conta solo il punteggio.

La differenza tra questi due voti è la misura del pregiudizio di genere: se le donne ottengono voti e riscontri più bassi in classe che nei test standard, allora c’è qualcosa che non va nei professori.

Con conseguenze disastrose: bastano i pregiudizi di un insegnante per influire sull’intera carriera di una bambina, soprattutto se proviene da una famiglia priva degli anticorpi culturali necessari per contrastare il giudizio superficiale di un cattivo professore.

L’ingiusta penalizzazione che le bambine israeliane ricevono nella valutazione delle loro capacità matematiche quando sono alle elementari, rispetto ai bambini maschi, incide su tutto il loro percorso educativo e lavorativo.

Le spinge a iscriversi meno dei ragazzi a corsi di laurea scientifici e quindi a non competere per posizioni che implicano stipendio più alto e riconoscimento sociale. Il pregiudizio dei professori, insomma, le indirizza a fare le maestre o altri lavori considerati “da donne” da chi condivide gli schemi mentali di Barbero.

Lo storico con milioni di visualizzazioni su Youtube dice che la situazione di persistente sistemica di cui sono vittime le donne non è un grande problema, passerà col tempo, «basterà allevare qualche generazione di giovani consapevoli e la situazione cambierà» (allevare?).

Forse quando non saranno più persone con i suoi pregiudizi e una simile visione ristretta delle dinamiche di genere a formare l’opinione pubblica in materia allora, allora le cose potranno un po’ migliorare. E le donne non verranno più educate a crescere con un senso del limite fissato dall’altro sesso che vuole accaparrarsi tutte le opportunità migliori.  

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