Puntualmente, al ripetersi ormai sempre più frequente di calamità sempre più gravi, si constatano i ritardi nella prevenzione. Non è una questione esclusivamente di costi: ci sono fondi non trascurabili. Perché allora non si riesce a farla?

Anzitutto, una politica sempre più debole, con partiti quasi tutti ridotti a partiti di leader, deve fare i conti con una spinta fortissima che viene dalla società a un uso particolaristico del territorio. Anche in regioni come l’Emilia-Romagna o la Toscana accreditate di maggiore cultura civica e buon governo.

Il confronto con altri paesi europei sul consumo del suolo è impietoso: circa il doppio di quello medio europeo, anche in zone critiche. Come reagisce la nostra politica debole a questa domanda particolaristica che non vuole vincoli ex ante e chiede “sanatorie” ex post? Curare il dissesto del territorio, così come altri problemi strutturali, richiede tempo e inoltre comporta la tutela di interessi collettivi, come la sicurezza e il benessere delle popolazioni, piuttosto che il soddisfacimento di interessi particolaristici. Col venir meno delle identità ideologiche forti, il consenso va ora acquisito a breve, e questo porta alla “veduta corta”.

Le prossime elezioni sono sempre dietro l’angolo, e ciò scoraggia dall’impegnarsi in progetti complessi a resa necessariamente differita. D’altra parte, la prevenzione comporta una evidente difficoltà per i politici a internalizzare i vantaggi in termini di consenso di interventi che rispondono a esigenze collettive, e non a quelle di singoli gruppi. Da qui la preferenza per politiche distributive e lo scarso o nullo impegno sulla prevenzione.

Questa diagnosi segnala che le ricette che puntano a rafforzare la leadership personale con meccanismi di elezione diretta, come quelli di recente riproposti, sono controproducenti La personalizzazione della politica è già troppo avanti nel nostro paese, specie a livello dei partiti - più deboli che in altre democrazie – ma anche del governo. Rafforzare con l’elezione diretta la personalizzazione rischia paradossalmente di aggravare le cose.

Infatti, la leadership personale ha ancora più bisogno, per confermare le sue qualità agli occhi degli elettori e mantenere il consenso, di interventi di rapida resa e a carattere distributivo piuttosto che di natura strutturale e a resa differita. Non a caso è cresciuto negli ultimi anni il rapido consumo dei leader. Ci si affida ai nuovi ma si resta presto delusi. Al contrario, occorrerebbe rafforzare il ruolo dei partiti come soggetti capaci di elaborare progetti di lunga durata sui grandi nodi strutturali, in grado di internalizzare i vantaggi di investimenti in beni collettivi attraverso l’organizzazione e l’impegno formativo e culturale. La personalizzazione non è il rimedio giusto.

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