Fratelli d’Italia è l’unico partito del vecchio parlamento che ha potuto offrire più seggi sicuri rispetto alla scorsa legislatura e questo ha permesso alla forza guidata da Giorgia Meloni di allargare il novero di personalità esterne coinvolte nelle candidature. Il nome più conosciuto e controverso è certamente quello di Giulio Tremonti, più volte ministro dell’Economia nei governi Berlusconi.

Tremonti è un intellettuale conservatore, un tecnico con solide basi culturali, ha intuito prima di molti altri la crisi della globalizzazione, ha coltivato idee euroscettiche, vergato giudizi sferzanti verso l’establishment di cui ha fatto parte.

Tuttavia, gli elettori del centrodestra potrebbero non avere un buon ricordo del Tremonti ministro, fu lui nel 2010-2011 a gestire l’inizio della crisi del debito sovrano che ebbe devastanti ripercussioni sull’economia reale.

E soprattutto potrebbe essere problematico richiamarlo in servizio nello scenario attuale, in particolare per il giudizio che potrebbe averne il presidente Sergio Mattarella.

Il Quirinale è sempre stato intransigente sulla vocazione europeista dei governi italiani, qualunque ne fosse il colore politico.

Non va dimenticato il veto posto dal Capo dello Stato su Paolo Savona come ministro dell’economia nel primo governo Conte. Una scena che rischierebbe di ripetersi nel caso in cui Tremonti fosse proposto da Fratelli d’Italia.

Più probabile, dunque, ipotizzare un ruolo di minor peso al governo oppure in parlamento, ad esempio a capo di qualche commissione importante.

L’altro nome di prestigio dell’era berlusconiana ripescato dalla Meloni è quello del filosofo Marcello Pera, già presidente del Senato e liberale con venature cattoliche, vicino a Benedetto XVI e al suo pensiero.

Da anni Pera incarna una opposizione ragionevole al progressismo e ha contribuito a costruire il messaggio conservatore della nuova destra.

La sua candidatura ingenera però un dubbio e cioè che Fratelli d’Italia fatichi ad attirare o produrre pensatori e uomini di cultura più giovani da impegnare in politica. Segno di un percorso culturale faticoso e ancora agli albori, ma che dovrà essere accelerato nel caso di governo attraverso personalità intellettuali riconosciute in Italia e all’estero per costruire contenuti e messaggi efficaci.

I volti nuovi

Tra i volti nuovi ci sono anche la giornalista Alessia Ardesi, cattolica con rete americana, fellow all’università gesuita di Georgetown a Washington; l’ex ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, da anni oramai presente negli ambienti della destra più colta, e Carlo Nordio, magistrato in pensione noto al pubblico per le sue battaglie liberali e garantiste.

Dal fronte cattolico e liberale si sono aggiunti Lorenzo Malagola, manager e segretario generale della Fondazione De Gasperi, ed Eugenia Roccella, che da anni anima il dibattito intellettuale sui temi etici con posizioni conservatrici.

Sono nomi che segnalano un certo effetto calamita che la scalata di Meloni ha saputo esercitare in questi anni sulla classe dirigente italiana. Ciò non significa però che Fratelli d’Italia non resti imperniata sul suo nucleo fondante, con radici che affondano nelle sezioni missine di Roma e nella gioventù che fu di Alleanza Nazionale.

Si nota la mancanza, ad esempio, di un’area più imprenditoriale, manageriale e professionale che nel partito sembra ancora poco rappresentata e che potrebbe rappresentare un problema nel caso in cui si dovessero reclutare manager da nominare nelle partecipate di Stato.

Tutto sommato il personale della nuova destra resta molto “politico”, meno incline ad aprirsi ad interessi, competenze e corporazioni rispetto ad altri partiti.

Questo perché Fratelli d’Italia è un partito verticistico, con una leadership dominante e che viene da un decennio di sola opposizione. Può essere un vantaggio perché questa verticalità garantisce maggiore unità, ma una volta al governo potrà essere anche un problema in quanto quegli interessi andranno composti e amministrati. Per questo probabilmente l’apertura delle liste a personalità esterne non basterà.

Per l’eventuale governo Meloni sarà costretta a cercare ancora fuori poiché garanzie sovranazionali e necessità di costruzione del discorso pubblico lo richiedono. Riuscirà la nuova destra a fare il salto al successivo scalino del potere nazionale e internazionale?

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