La sintesi del nuovo Dpcm, preceduto mercoledì da un decreto legge, è in un passaggio dell’informativa che ne ha dato il ministro della Salute in parlamento: «Il virus è tornato a circolare molto pericolosamente. Quando tutti i parametri peggiorano contemporaneamente abbiamo l'obbligo di prendere nuove misure». A fronte di queste parole, ci si potrebbe limitare a prendere atto delle maggiori restrizioni. Ma siccome non è questa la funzione di chi scrive, è opportuno svolgere qualche considerazione.

Ancora in emergenza

Innanzitutto, il Consiglio dei ministri ha prorogato al 30 aprile lo stato di emergenza, che ormai pare destinato a protrarsi finché durerà la pandemia. Si tratta di uno snaturamento di questo “stato” che – come osservato più volte – è finalizzato a fronteggiare un evento imprevisto o dalla portata inattesa fino a quando non si siano ripristinate situazioni di ordinarietà. Ormai conviviamo con il virus, che non è più un evento inaspettato. Le attività quotidiane sono riprese da mesi, sia pure con cautele. Dunque, prorogare l’emergenza perché non si è allestito ciò che serviva, nel corso di un anno, è l’attestazione di un fallimento. Vale la pena rilevare un elemento ulteriore: il Comitato tecnico scientifico (Cts) aveva dato indicazione al governo di estenderlo al 31 luglio, in modo da continuare a gestire la situazione con strumenti emergenziali. In base a quale competenza un organismo avente il «compito di garantire il necessario supporto tecnico» abbia sconfinato in un ambito amministrativo-politico non è dato sapere.


La nuova classificazione delle regioni

Dopo la parentesi natalizia e i colori uniformi in tutta Italia, si torna al sistema dei 21 parametri e degli algoritmi. Ma adesso il risultato della loro applicazione sarà diverso. Infatti, nella definizione dei quattro scenari di rischio – previsti nel documento “Prevenzione e risposta a Covid-19”, a cura del ministero della Salute e altri – a cui è connessa la diversa classificazione delle regioni e l’applicazione delle relative restrizioni, ora si valuta pure l’incidenza dei casi settimanali in aggiunta al rischio e al fattore Rt. E ciò farà entrare alcune regioni in una zona con colorazione più intensa, quindi con maggiori limitazioni. La complessità del sistema ne rende ardua la comprensione ai non addetti ai lavori. Tuttavia, è chiaro che basta il cambiamento di un elemento del meccanismo in base a cui le regioni sono classificate per determinare impatti rilevanti sulla vita delle persone.

Le restrizioni agli spostamenti

È vietato ogni spostamento tra le regioni di qualunque colore, salvo le usuali e comprovate esigenze di lavoro, necessità o salute. Inoltre, si ribadisce la norma varata per festività natalizie: all’interno della stessa regione, in area gialla, e dello stesso comune, in area arancione e rossa (e fatto salvo quanto previsto per i comuni fino a 5.000 abitanti), è consentito lo spostamento verso una sola abitazione una volta al giorno, fra le 5 e le 22, «nei limiti di due persone ulteriori rispetto a quelle ivi già conviventi», oltre ai minori di anni 14 e persone disabili o non autosufficienti. Sarebbe interessante sapere quali siano stati gli esiti dei controlli già effettuati sul rispetto di questa regola, finalizzata per lo più a evitare assembramenti nelle case, data l’impossibilità di verifiche all’interno di esse. Siccome le forze dell’ordine non possono chiedere di specificare le generalità di coloro dai quali ci si sta recando, ma solo l’indirizzo, è impossibile incrociare i dati per accertare se più di due persone siano andate nella medesima abitazione. La norma rischia di restare un proclama di mera facciata.


Le restrizioni all’asporto

Vengono riaperti i musei nelle regioni in area gialla: una buona notizia, trattandosi di luoghi in cui può essere garantito il distanziamento, e non solo. Le scuole superiori possono riaprire con presenza dal 50 al 75 per cento (salvo che nelle zone rosse), ma di fatto nulla è certo, restando la norma in forza della quale ogni regione può adottare ordinanze più limitative.

C’è una stretta sull’asporto dai bar, vietato dopo le 18. Dai runner ai vacanzieri estivi ai festaioli natalizi, la ricerca del colpevole ora si appunta su una nuova categoria: chi asporta. La disposizione infliggerà un ulteriore colpo a esercenti già provati dalla crisi. Ma il dato rilevante è anche il motivo per cui essa viene dettata: i clienti tendevano a stazionare nei pressi del locale per consumare quanto acquistato, nonostante il divieto di assembramento. La nuova norma rappresenta il riconoscimento dell’incapacità delle autorità di presidiare il territorio, verificando i capannelli ed elevando sanzioni. Insomma, l’ordinaria attività di controllo a tutela di sicurezza urbana e salute collettiva. In epoca di pandemia, sarebbe il minimo. E invece, ancora una volta, l’inefficienza dell’azione pubblica viene fatta scontare a privati, con restrizioni di un’attività economica. Peraltro, non potrà essere acquistato nei bar dopo le 18 quanto sarà invece acquistabile in altri esercizi. Così “assembramenti” potranno verificarsi altrove. Insomma, ci si è limitati a spostare il problema. Attività economiche strutturate per svolgersi in continuità, e così coprire i costi fissi che continuano a gravare su chi le svolge, patiscono misure “a elastico” come continua ad avvenire da settimane. Se è in questo modo che si reputa di salvare l’economia, contenendo al contempo il virus, si dubita molto dei risultati, che infatti non si vedono.


Le domande ancora aperte

Continua a latitare qualunque indicazione sulla strategia da perseguire. Il governo va avanti alla giornata, in termini sanitari oltre che politici. Cosa intende fare circa il contact tracing, di cui non si ha più notizia? Come pensa di potenziare i presidi ospedalieri e proteggere le residenze sanitarie? Per i trasporti cosa sta organizzando? E per le scuole? Perché non rivede la norma che consente ai presidenti di regione di chiuderle, mentre a livello centrale si dispone che restino aperte?

Mancano risposte, ma nel nuovo Dpcm non manca la previsione di un’area “bianca”, ove si sarà quasi liberi. Un «percorso di speranza», l’ha definita il ministro della Salute. Ma con numeri di contagi e decessi che restano alti, alle persone la zona “bianca” rischia di sembrare l’ennesima presa in giro.

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