Nella lunga storia delle invasioni di campo della politica nello sport (e viceversa) il pasticciaccio brutto delle Olimpiadi di Parigi ha già toccato un apice che sarà molto probabilmente superato in vista dell'appuntamento in calendario tra poco più di un anno. Almeno stavolta ci vengono risparmiate le ipocrisie, e del resto sarebbe stato impossibile, sull'indipendenza, i valori morali dello sport, le tregue decretate per i giochi nell'antica Grecia.

Nulla di nuovo, dunque. Semmai l'acuirsi delle ingerenze per un evento mediaticamente perfetto per amplificare messaggi. Il tema è, ovviamente, la partecipazione o meno degli atleti russi e bielorussi sul quale il Comitato olimpico internazionale presieduto dal tedesco Thomas Bach, dopo aver molto tergiversato, cambiato opinione, rivisto corretto e modificato, è giunto a una conclusione apparentemente salomonica ma che in realtà è riuscita a scontentare tutti: il tempo delle guerre, si sa, è tempo di radicalità di posizioni, non esistono i grigi.

Tutti scontenti

Salvo ulteriori cambiamenti di rotta, al momento in cui questo giornale va in stampa si sarebbe detto una volta, la situazione è la seguente: la massima autorità sportiva ha invitato le Federazioni internazionali delle varie discipline a riammettere russi e bielorussi nelle competizioni, spesso valide anche come qualificazioni olimpiche, a titolo individuale, senza bandiera e ad esclusione di coloro che gareggiano sotto le insegne di qualche forza armata o abbiano pubblicamente dichiarato il loro sostegno a Putin: di fatto almeno il 70 per cento degli atleti sono fuori.

Il Cremlino si è infuriato, Zelensky pure, avrebbe preferito il bando totale. A ruota, i vari stati hanno seguito una posizione che ricalca quella delle alleanze del conflitto. Il povero Bach sostanzialmente ridotto a un Arlecchino servitore di due padroni: da un lato le ragioni della sua Carta costitutiva, dall'altro le pressioni della politica.

Il suo ufficio stampa si è premurato di diffondere un comunicato in cui si precisa che ci sono 70 conflitti nel mondo ed è solo la guerra europea ad aver imposto una scelta drastica. Dunque il Cio prenderà una decisione definitiva su Parigi 2024 e Milano-Cortina 2026 “al momento opportuno” e spera ovviamente che dal campo, stavolta campo di battaglia, arrivi la buona novella di una pace o almeno di una tregua che gli toglierebbe le castagne dal fuoco.

L’incontro romano

Proprio per discutere dei Giochi invernali italiani, Bach sarà a Roma giovedì e venerdì e ha in calendario un incontro con Giorgia Meloni che si annuncia complicato. Il ministro Andrea Abodi a febbraio ha partecipato a un incontro su Zoom promosso dal presidente ucraino per spingere sul tasto dell'esclusione senza se e senza ma e ha poi firmato, a nome del governo, un documento in favore della linea dura (in compagnia, tra gli altri, di Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Francia). Se non fosse seguita, i polacchi, come i baltici e alcuni paesi anglosassoni hanno già adombrato il boicottaggio dei Giochi, l'out-out o noi o loro.

La linea di palazzo Chigi ha messo in imbarazzo, anzitutto, Giovanni Malagò, presidente del Coni e membro del Cio, il quale ha dovuto, si immagina obtorto collo, adeguarsi al governo non rinunciando tuttavia a dichiarazioni più bilanciate che danno il polso delle sue difficoltà, aumentate dal desiderio di non pregiudicare la buona riuscita del fiore all'occhiello della sua diplomazia, le olimpiadi nelle Alpi. Dovesse protrarsi a lungo il conflitto, la postura che si prenderà per Parigi si riverberebbe naturalmente su Cortina.

Un’olimpiade monca

Non solo l'Italia si trova in mezzo al guado di un rebus complicato. Anne Hidalgo, la sindaca della capitale francese, pure ha dovuto sottostare alle ragioni geo-strategiche dell'Eliseo nonostante gli sforzi profusi per i giochi in casa. Soprattutto nel campo occidentale, si moltiplicano le ingerenze. Il Parlamento europeo, ad esempio, ha votato con una maggioranza bulgara (444 favorevoli, 26 contrari, 37 astenuti) una risoluzione con cui si invitano «gli stati membri e la comunità internazionale a esercitare pressioni sul Cio affinché revochi la decisione (di ammettere gli atleti pur con le limitazioni descritte, ndr) e adotti una posizione analoga su ogni altro evento sportivo».

A quale scopo, è lecito chiedersi. Il passato dimostra, dalla Cuba di Fidel alla Serbia di Milosevic, che l'isolamento di un paese dal punto di vista culturale e sportivo, è di solito un regalo ai dittatori perché permette loro di spingere il tasto del vittimismo, aumenta il nazionalismo, impedisce la circolazione di persone e idee ancora più necessaria quando si sono alzati dei muri di comprensione. Senza contare che vengono colpite persone a causa della loro carta d'identità, della loro origine, tradendo uno dei princìpi che dovremmo tenere per cari.

Dopo 14 mesi di un conflitto che si è impantanato e mentre non si vedono all'orizzonte trattative di pace possibili, Parigi sembra destinata in ogni caso a essere un'olimpiade monca. Come Mosca '80, come Los Angeles '84. Che si tratti di guerra fredda o di guerra calda chi ci perde è sempre lo sport. Perché, se non affratella i popoli, è in grado comunque di metterli tutti davanti a un televisore con quell'orgia di potenza mediatica che è in grado si scatenare.

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