Le sanzioni funzionano? Posta in questo modo, qualsiasi risposta è possibile. Se la domanda è «le sanzioni impongono un costo economico enorme alla Russia, incommensurabilmente maggiore rispetto al danno per chi le impone?», la risposta è sicuramente affermativa. Se invece si intende che le sanzioni riescano ad abbattere il regime di Putin o porre fine alla guerra, la risposta è negativa: Kim Jong-un e Nicolas Maduro continuano a governare Nord Corea e Venezuela; e per fermare i carri armati russi non ci sono che le armi.

Se però l’obiettivo delle sanzioni era dimostrare la coesione dell’Occidente nel sostenere il diritto alla difesa dei paesi e nel condannare i crimini di guerra, allora la risposta è di nuovo affermativa, considerato che Putin faceva proprio affidamento sulla debolezza dell’Occidente e sulle divisioni al proprio interno.

In realtà, chi si interroga sull’efficacia delle sanzioni dovrebbe anche esplicitare quali sarebbero le alternative. Magari non fare nulla, per lasciarci l’agio di pianificare le vacanze senza preoccuparsi del caro benzina.

Il costo certo delle sanzioni

L’unica valutazione non opinabile, perché verificabile, è l’efficacia delle sanzioni nell’imporre costi economici. Alcuni vedono nel recente rafforzamento del tasso di cambio del rublo una prova dell’inefficacia delle sanzioni. Ma i vincoli imposti ai movimenti di capitale rendono il cambio un indicatore fittizio: gli stranieri non possono vendere attività in rubli; i russi non possono comprare valuta estera; e gli esportatori di gas e petrolio devono convertire nella moneta russa l’80 per cento degli incassi.

La penuria creata dalle sanzioni ha però fatto schizzare l’inflazione annuale in Russia, che a metà marzo è arrivata al 14,5 per cento, nonostante il periodo copra solo poche settimane di guerra. Se però si guarda alla prima metà di marzo, l’inflazione sta salendo di circa 2 punti percentuali la settimana.

Gli analisti russi prevedono si raggiungerà il 20 per cento, ma realisticamente si andrà oltre, con un effetto sempre più devastante sul potere di acquisto di cittadini e imprese.

La Banca centrale ha già portato al 20 per cento il suo tasso di intervento, ma si pensa che si arriverà al 25-30 per cento. A questi livelli il mercato del credito smette di funzionare provocando dissesti e recessione, e la banca centrale dovrà stampare moneta per evitare una crisi sistemica, alimentando ulteriormente l’inflazione.

La bilancia dei pagamenti del primo trimestre (avvertite Vladimir Putin che la Banca centrale russa la pubblica in dollari) mostra un crollo di 18 miliardi delle importazioni rispetto all’ultimo trimestre del 2021, anche se la guerra ha inciso solo su un mese del trimestre. Segno del crollo della domanda interna.

Sorprendente che anche le esportazioni siano calate di 14 miliardi, nonostante le esportazioni di gas e petrolio non siano colpite da sanzioni: evidentemente la Russia, per poter esportare, deve praticare forti sconti (indiscrezioni parlano di 25-30 dollari al barile); come è crollata l’attività produttiva dovuta all’uscita del paese di oltre 600 imprese occidentali.

Stime della World Bank sono coerenti con questi dati: nonostante non sia diminuita l’attività estrattiva ed energetica, la principale del paese, prevede che il Pil crollerà dell’11 per cento, a causa di una caduta del 17 per cento degli investimenti, del 13 dei servizi, 9 dei consumi privati e, rispettivamente, 31 e 35 di esportazioni e importazioni. In sintesi, le sanzioni stanno spingendo la Russia a una economica autarchica di guerra, che impone un forte abbassamento del tenore di vita.

Queste stime riguardano soltanto l’impatto delle sanzioni dopo un mese di guerra, ma il costo imposto alla Russia sarà tanto maggiore quanto più a lungo durerà il regime sanzionatorio.

Il debito e il lungo periodo 

Si è dibattuto dell’efficacia del blocco delle riserve valutarie della Russia e delle limitazioni all’accesso al sistema dei pagamenti swift , quando poi viene mantenuta la libertà delle forniture di gas e petrolio, primaria fonte di introiti in valuta estera.

I dati ufficiali mostrano che nel solo mese di marzo, il primo di guerra, le riserve valutarie della Russia si sono ridotte di ben 37 miliardi di dollari: anche con le esportazioni di gas, dunque, le sanzioni funzionano.

Ma il costo maggiore per la Russia arriverà dal default sul debito estero, considerato ormai certo a guardare il costo dei credit default swaps (lo strumento che assicura contro le insolvenze). Sarebbe il primo dal tempo della Rivoluzione di ottobre (nel 1998 fece default sul debito in rubli).

La Russia possiede la valuta per servire il debito estero, e vorrebbe onorarlo proprio perché teme il costo di un default. Ma la sanzione forse più efficace, ma meno compresa, è la recente proibizione imposta alle banche americane di fare qualsiasi transazione con controparti russe; e poiché il debito estero, prevalentemente in dollari, richiede che il pagamento delle cedole e il rimborso del capitale debba essere gestito dalla banca agente dell’emissione, necessariamente americana, l’entità russa è di fatto costretta al default.

Così, a inizio aprile, J.P. Morgan ha dichiarato di non poter pagare cedole di bond russi per 650 milioni di dollari. Non essendo previsto contrattualmente il pagamento in rubli, saranno dichiarati in default alla fine del  grace period previsto. Pochi giorni fa è stata dichiarata in default un’obbligazione della Ferrovie Russe (anche se in franchi svizzeri).  

Esclusa da tutto

Questo significa che la Russia sarà presto completamente tagliata fuori da qualsiasi accesso al mercato dei capitali internazionali, fino a quando non si sarà trovato un accordo con tutti i creditori sul valore residuo del debito in default.

Solitamente è un processo molto lungo e complesso che richiede parecchi anni, ma che in questo caso sarà anche più lungo in presenza di un regime di sanzioni internazionali, di attività sotto sequestro non accessibili ai creditori e del probabile rifiuto della Russia di accettare il diritto inglese, che generalmente regola queste emissioni, per dirimere le controversie.

Le imprese russe non potranno pertanto finanziare per molti anni gli acquisti di tecnologia, beni, servizi e macchinari di cui hanno estremo bisogno. Le sanzioni non sono solo efficaci, ma lo diventeranno ancora di più col trascorrere del tempo.

Quanto poi al costo in termini di inflazione che l’Europa si auto infliggerebbe con le sanzioni, prevale un notevole strabismo.

Il problema dell’inflazione e del caro energia in larga parte preesisteva l’invasione dell’Ucraina. Il prezzo del greggio (Brent) è oggi appena 8 per cento più elevato del 22 febbraio, il giorno prima dell’invasione, ma era salito del 148 per cento nei 12 mesi precedenti alla guerra; 29 per cento l’aumento del gas europeo (Dutch TTF) dall’invasione, ma +399 per cento nei 12 mesi precedenti.

Le cause dell’inflazione poi sono molteplici, sbagliato attribuirla alle sole importazioni di gas russo: basta guardare agli Stati Uniti che il gas lo esportano e sono il primo produttore di petrolio al mondo, eppure sono il paese con l’inflazione più elevata. Questa è l’evidenza dei dati. Tutto il resto è opinabile.

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