La responsabilità dell’escalation militare in Ucraina può essere forse attribuita agli Stati Uniti, ma è l’Unione europea a decidere che la guerra deve continuare. La spaccatura sull’embargo petrolifero, e la scelta al ribasso della Commissione europea di proporlo dal 2023, significano una cosa sola: i paesi europei continueranno a finanziare per molti mesi i massacri russi in Ucraina.

Secondo i calcoli della Kiev School of Economics, dall’inizio dell’invasione il 24 febbraio hanno pagato e pagano in media 332 milioni di dollari per il petrolio russo, poco meno che per il gas, 471 milioni al giorno.

Con queste risorse, il Cremlino può continuare a finanziare la guerra e riesce a sopravvivere alle sanzioni che contribuiscono alla più grave recessione dal crollo dell’Urss, con il Pil che dovrebbe crollare dell’8 per cento almeno e le prospettive di crescita per i prossimi anni devastate.

Ufficialmente a bloccare il pacchetto di sanzioni proposto dalla Commissione sono state Ungheria e Slovacchia, preoccupate dalla propria eccessiva dipendenza dalle energie fossili russe. Ma se ci fosse la volontà politica, i paesi membri dell’Ue potrebbero colpire Putin sul portafoglio anche senza l’avallo del filo-russo Viktor Orbàn e dello slovacco Eduard Heger.

Prendiamo sempre i calcoli della di Janob Neil, Natalian Shapoval e Borys Dodonov della Kiev School of Economics, usati dal Freeman Spogli Institute di Stanford per avanzare proposte sulle sanzioni. Sulla base delle importazioni di novembre 2021, e considerando lo sconto di circa 30 dollari sul petrolio russo (Ural) rispetto a quello più diffuso sul mercato internazionale (Brent) dei 332 milioni di dollari giornalieri pagati da paesi europei, l’Ungheria ne paga 8 e la Slovacchia 9. Totale: 17.

Il petrolio si può facilmente sostituire sul mercato internazionale, magari con qualche rincaro se si taglia fuori la Russia, non è come il gas che può arrivare soltanto via nave (con rigassificatori) o tubi. Ma per due paesi che insieme valgono insieme il 5 per cento del valore delle importazioni quotidiane dalla Russia, l’Ue sceglie di continuare a finanziare i massacri di Mariupol e Bucha.

La resistenza della Germania di Olaf Scholz, preoccupata per la dipendenza strategica dalla Russia soprattutto sul gas, ha comunque contribuito a ridurre l’ambizione della strategia europea: anche senza il veto di Ungheria e Slovacchia, l’embargo petrolifero sarebbe scattato nel momento peggiore.

Cioè nel pieno del prossimo inverno, quando i paesi europei soffriranno per i rincari del gas russo (oggi i costi sono mitigati dal ricorso a scorte che prima o poi andranno rimpinguate) e quando sarà più necessario avere garanzia di risorse energetiche disponibili.

Con l’estate la domanda di energia un po’ si riduce, sarebbe questo il momento di agire. Invece l’Ue spreca la sua finestra di opportunità.

Svuotare le sanzioni

European Commission President Ursula von der Leyen delivers her speech during a debate on the social and economic consequences for the EU of the Russian war in Ukraine, Wednesday, May 4, 2022 at the European Parliament in Strasbourg, eastern France. The European Union's leader on Wednesday called on the 27-nation bloc to ban oil imports from Russia in a sixth package of sanctions targeting Moscow for its war in Ukraine. (AP Photo/Jean-Francois Badias)

La questione è strategica, l’assenza di scelte europee sul petrolio russo rendono quasi inutili le altre sanzioni, in particolare quelle pesantissime sugli asset della banca centrale russa.

A inizio marzo, la scelta di congelare le disponibilità della banca centrale presso le omologhe occidentali ha privato in un colpo la Russia di circa 300 miliardi di dollari su 643 complessivi di riserve.

Questo ha ridotto la possibilità per la banchiera centrale Elvira Nabiullina di reagire: il crollo del rublo si è fermato soltanto perché il governo ha introdotto limiti alla convertibilità e blocchi ai flussi di capitali, mentre i tassi salivano a un drammatico 14 per cento che basterebbe da solo a innescare la recessione (combinato con un’inflazione al 16,7 per cento, dato di marzo).

La banca centrale si è trovata con una quantità improvvisamente molto limitata di valuta straniera per finanziare le importazioni, che sono nell’ordine di 31,6 miliardi al mese in tempi normali.

Mentre le banche centrali hanno debiti in valuta estera per 130 miliardi di dollari e i risparmiatori russi hanno un quarto dei loro depositi, circa 200 miliardi, in dollari, euro o altre monete alternative al rublo. Tutto bloccato, dopo il congelamento delle riserve.

Più passa il tempo, però, maggiore è il sollievo per la banca centrale: gran parte dei ricavi dalla vendita di gas e petrolio continua ad arrivare in Russia e in valuta estera, nonostante le sanzioni. La cifra complessiva dei pagamenti disposti dai paesi europei, tra gas e petrolio, dall’inizio della crisi è di 53 miliardi di dollari. Ogni giorno è una boccata di ossigeno per il sistema finanziario russo, grazie alle scelte europee.

La Cina, scrive il Financial Times, ha iniziato a comprare petrolio russo. Ma questa non è una notizia che legittima dubbi sull’embargo europeo: se l’Ue smettesse di comprare (o almeno di pagare) il greggio di Mosca, a Putin non resterebbe altro che rivolgersi a oriente. I cinesi comprerebbero petrolio russo con uno sconto anche maggiore, sostituendo in parte le importazioni del Brent attuali.

Gli effetti sul prezzo internazionale dell’uscita della Russia dal mercato potrebbero essere mitigati da quelli di segno opposto dovuti alla riduzione di domanda cinese di Brent (pare che anche i lockdown cinesi di massa anti-Covid contribuiscano a calmare la domanda in questa fase).

Non ci sono alibi, insomma. Se si vuole fermare Putin, oltre a mandare armi agli ucraini bisogna smettere di comprare il suo petrolio. L’Italia non prende posizioni nette, anzi, con il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani manda segnali di essere disposta a pagare Gazprom secondo le modalità indicate da Putin, con il doppio conto corrente presso Gazprombank che garantisce alla Russia di ottenere la valuta straniera senza che resti impigliata nella maglia delle sanzioni.

Poi non lamentiamoci delle stragi in Donbass e dell’esodo biblico dei profughi ucraini.

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