In due giorni, quasi trenta indagati tra volontari e dirigenti di organizzazioni che prestano soccorso ai naufraghi nel Mediterraneo centrale.

Prima l’attacco a Mediterranea Saving Humans, accusata dalla procura di Ragusa (nota per aver avviato numerose inchieste sulle Ong del mare, tutte finite in nulla) di aver contrattato un compenso per togliere le castagne dal fuoco alla compagnia di shipping Maersk, una delle più importanti al mondo.

La mare Jonio aveva trasbordato 27 persone che erano a bordo di una nave della compagnia danese, la Etienne, da 38 giorni bloccata davanti a Malta: il più lungo stand-off della storia.

Ovviamente Mediterranea ha respinto al mittente le accuse e poco dopo è la stessa compagnia di shipping - peraltro mai interpellata dalla Procura - a chiudere la partita con una dichiarazione pubblica: «Solo a distanza di mesi dall’operazione di salvataggio, Maersk Tankers ha incontrato i rappresentanti di Mediterranea per ringraziarli della loro assistenza umanitaria. A seguito di questo incontro, abbiamo deciso di dare un contributo a ‘Mediterranea’ per coprire parte dei costi sostenuti a seguito dell’operazione. Ciò è stato fatto per un importo di 125.000 euro e con il pieno supporto della direzione…».

Ma dopo meno di 24 ore, da Catania e Trapani arrivano altre novità: il Tribunale di Catania chiede il rinvio a giudizio per Medici senza frontiere e la procura di Trapani, dopo quattro anni, chiudeva l’inchiesta con cui chiederà il rinvio a giudizio ancora per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ai danni ancora una volta di Medici senza frontiere e in questo caso anche di Save the children.

A Catania l’accusa per le Ong è paradossale: traffico di rifiuti pericolosi. Perché la ditta che smaltiva i rifiuti della nave buttava normalmente gli abiti dismessi dai naufraghi invece di trattarli come rifiuti speciali.

«Le decisioni della magistratura - dice Msf in una nota - arrivate a poche ore di distanza, allungano l’elenco dei numerosi tentativi di criminalizzare il soccorso in mare, che a oggi non hanno confermato alcuna accusa, ma che insieme alle ciniche politiche dell’Italia e dell’Europa hanno pericolosamente indebolito la capacità di soccorso nel Mediterraneo centrale, al drammatico costo di migliaia di vite umane».

Come nel 2017

È evidente che non possono essere coincidenze: le procure coinvolte sono le stesse che nel 2017 fecero sponda facendo partire inchieste (poi finite nel nulla) alla campagna mediatica che metteva sotto accusa le organizzazioni di soccorso in mare, riassunta nella vergognosa formula che le classificava come tassisti del mare.

Si tratta di indebolire la posizione della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese che dopo le nomine dei sottosegretari aveva immediatamente chiarito che la partita sull’immigrazione sarebbe rimasta di sua competenza e non passata a Nicola Molteni, autore proprio dei famigerati decreti Salvini.

Una manovra giudiziaria che indebolisce anche quella parte di rappresentanza politica che, dentro alla sconfinata maggioranza di governo, sostiene le posizioni più avanzate sull’immigrazione chiedendo che si rivedano le politiche di sostegno alla Libia e alla sua cosiddetta Guardia Costiera.

Una politica che è costata complessivamente quasi 800 milioni di cui almeno 213 per le missioni classificate ufficialmente come militari e - solo nel 2020 - dieci per il sostegno alle bande che formano la cosiddetta Guardia Costiera. Ma soprattutto una politica che ha visto il nostro Paese messo sotto accusa dalle Nazioni Unite e dalle organizzazioni internazionali per la diffusa pratica dei respingimenti collettivi, che negano la possibilità di chiedere diritto di asilo a chi ne avrebbe tutti i diritti.

Insieme all’attacco dei pezzi di magistratura da sempre (vanamente) impegnata a costruire teoremi accusatori verso le organizzazioni del soccorso in mare si è rialzata la voce dei sovranisti che vorrebbero muri e frontiere e porti chiusi, perché si vorrebbe ricostruire quella egemonia culturale - combattuta e poi vinta da chi aveva chiesto l’abrogazione dei decreti sicurezza - che aveva, da Marco Minniti fino a Matteo Salvini, costruito una narrazione che rovesciando realtà e buonsenso etichettava come delinquente chi andava per mare a salvare le persone, e non chi violava convenzioni internazionali e convenzioni sui diritti.

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