L’Italia si prepara al cammino per superare la crisi economica che la pandemia rende ogni giorno più acuta e il focus è sui progetti di “crescita verde”. Le intenzioni del premier Mario Draghi sono chiare: l’Italia si deve usare i fondi del Next Generation Eu per investimenti strutturati in progetti di lungo periodo, che migliorino la sostenibilità ambientale e sociale di un paese allo stremo.

Tornano centrali le amministrazioni dei ministeri, che andranno rafforzate con personale tecnico. Un nuovo ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, guida un ministero che gestisce tutti i tavoli dell’energia, dell’ambiente e del contrasto al cambiamento climatico. Un altro, Vittorio Colao, è preposto alla digitalizzazione, l’altro settore considerato centrale. Il ministro del Tesoro  Daniele Franco ha la responsabilità del coordinamento economico.  

Una strategia di investimento per la transizione ecologica si fonda su interventi immediati e altri che abbracciano una visione di lungo periodo; pubblico e privato dovranno fare sistema in una prospettiva di partenariato, come mostra l’esperienza vincente di paesi diversi tra loro, oggi sulla frontiera tecnologica.

Le filiere industriali, che fanno perno su poche grandi imprese innovatrici, dovranno essere considerate nel loro complesso. Dalla ricerca di base al trasferimento dei risultati all’industria, si deve generare un percorso sinergico tra i soggetti che producono e quelli che utilizzano i frutti della ricerca applicata. A valle è essenziale la costruzione della domanda con l’adeguamento dei consumi nel mercato interno e  la ricerca di sbocchi all’estero.

Non c’è tempo da perdere

L’urgenza della attuazione di piani a breve e lungo termine è evidente: i dati del Pil, del lavoro, dell’industria, della povertà parlano da soli. Il prodotto interno lordo scende da 1700 miliardi di euro nel 2019 a 1500 miliardi nel 2020 e continua a contrarsi oggi. A questi numeri corrisponde la crisi di quasi ogni settore: tra il  2020 e il 2019 la più colpita è l’industria, i servizi scendono da 1140 miliardi di euro a 1000. Gli investimenti si contraggono;  la crisi colpisce soprattutto quelli in impianti e macchinari, punti di forza dell’industria italiana anche per le esportazioni: rendono evidenti le aspettative negative degli imprenditori, che in questo modo si autorealizzano. In sofferenza sono gli animal spirits di Keynes, poiché la liquidità non manca e i tassi di interesse sono vicini allo zero.

I dati gravi che investono la tenuta sociale del paese sono quelli del crollo dei consumi delle famiglie (da 1,4 miliardi nel 2019 a 926 milioni) e l’aumento delle diseguaglianze: il coefficiente di Gini, l’indicatore di diseguaglianza nella distribuzione del reddito, ha superato 0,35 (in una scala tra 0 e 1), l’Italia si avvicina ai paesi dove la diseguaglianza è massima nel mondo occidentale (0,41 negli Stati Uniti). 

L’Italia è in una posizione favorevole di crescita verde rispetto all’Europa. In questo ambito, nel quale trasformazione energetica e digitale si combinano, l’Italia eccelle, con un indotto che inizia a crescere grazie alla vitalità di poche grandi imprese.  La produzione elettrica da rinnovabili ha superato il 35 per cento dei consumi totali, l’efficienza energetica -il consumo di energia per unità di prodotto- migliora.

Tra gli investimenti urgenti spicca la costruzione di infrastrutture per la mobilità elettrica (che certo non può diffondersi senza postazioni di ricarica delle batterie nelle città e nei percorsi viari); richiede un coordinamento rapido con il ministero delle Infrastrutture e la Mobilità Sostenibili.  Per migliorare l’efficienza energetica sono da utilizzare anche i fondi per ristrutturare l’edilizia pubblica e abitativa. Il risparmio di energia prodotto da questi investimenti si accompagna all’urgenza di rendere sicure le strutture pubbliche, in primo luogo le scuole, con interventi non più rinviabili; le conseguenze dei disastri ambientali e la diseguaglianza geografica evidenziata dalla pandemia ne hanno mostrato dolorosamente l’urgenza.

I fondi ecologici

La strategia del Next Generation Eu deve anche preparare il terreno di lungo periodo perché l’uso dei “fondi ecologici” dall’Europa contribuisca alla crescita della produttività del paese. L’Italia può e deve partecipare alle nuove filiere dei progetti europei (nei progetti per lo spazio o nell’Alleanza per l’Idrogeno, dove sono presenti nostre grandi imprese).

La costruzione della filiera dell’idrogeno e di biomateriali, raggiunta la maturità tecnologica, consentirà l’uso di sostanze non inquinanti nell’industria pesante non raggiungibile direttamente dalle rinnovabili (l’acciaio, le raffinerie, la chimica). I morti dell’Ilva e i disoccupati di oggi nel territorio martoriato da quegli impianti hanno mostrato che in un Paese civile non si può ammettere l’alternativa tra salute e lavoro.

Nel breve periodo il sequestro del carbonio generato nella produzione (Ccs) troverà soluzioni industriali in strategie di riutilizzo o nel suo stoccaggio nei siti di giacimenti dismessi.

Guardando  al futuro, l’Italia è dotata di ampi siti per lo stoccaggio del carbonio. Non può non sfruttarli. In Europa lo stoccaggio della CO2 è attivo in Norvegia, Gran Bretagna e Olanda; perché non prevedere l’uso dello spazio dei giacimenti esauriti di Ravenna, che offrono una capacità di stoccaggio importante?  

L’intera filiera è da costruire, a partire dalla disponibilità dei fondi europei; richiede partenariato pubblico e privato: a monte le tecniche di cattura dello stoccaggio sono ancora a uno stadio troppo costoso; a valle, le imprese energivore che utilizzano combustibili fossili – nella produzione di carta, vetro, cemento, ceramica-  non generano sufficiente domanda.

Il prezzo del carbonio è cruciale. Un trasportatore, solo alla guida di un camion pesante, è disposto a pagare una contravvenzione finché è meno costosa dello stipendio del secondo guidatore, richiesto dal codice della strada. 

Anche lo sviluppo dell’idrogeno, che pure rientra nelle priorità europee e che l’Italia contribuisce a produrre, è troppo costoso in assenza di un prezzo adeguato del carbonio.  

Per rendere credibili gli obiettivi di Parigi sul contenimento delle emissioni, una strategia globale dovrà dunque includere un prezzo del carbonio livellato nel pianeta, che renda chiaro l’indirizzo dei governi e conveniente la riorganizzazione delle imprese, senza penalizzare le più virtuose.

La strategia dell’Italia

Al riguardo l’Italia si sta preparando dopo il G20 alla  co-presidenza della Convenzione delle Parti delle Nazioni Unite (la COP26 di Glasgow, novembre 2022); si prepara a portare proposte in linea con gli indirizzi europei seguiti nel paese, per farli accettare in quel consesso internazionale. La COP26 è l’unica istituzione globale, dopo il ritorno degli Stati Uniti con Joe Biden, in grado di definire strategie condivise per costruire nel mondo una crescita sostenibile. Anche in quel contesto, come in Europa, si registra una svolta; dopo anni di discussioni sterili su chi deve pagare il costo della decarbonizzazione e sulle formule accettabili dai Paesi che hanno inquinato in passato (l’Occidente) e quelli che inquinano oggi (il resto del mondo), oggi uno spirito di cooperazione sembra prevalere. Meglio però non sopravvalutarne i possibili esiti.

L’Italia contribuisce ai working group tecnici che l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha attivato quest’anno in un High Level Dialogue on Energy, allo scopo di convergere su politiche condivise nella COP26 per imprimere una traiettoria verde alla crescita economica del pianeta.

In quella sede potrà essere sostenuta la proposta di rimodulare gradualmente la politica dei sussidi ai combustibili fossili (nel mondo), di introdurre meccanismi per livellare globalmente il prezzo del carbonio, evitando la concorrenza sleale dei paesi meno attenti al vincolo delle emissioni (la Cina), e sostenere così anche finanziariamente e fiscalmente la svolta della crescita economica in una direzione che non distrugga la casa comune.

© Riproduzione riservata