La legge di Bilancio premia la famiglia. Ma solo quella che piace alla destra

La spesa pubblica non è neutra. È lo strumento con cui un governo traduce in pratica la propria visione del mondo, la forma concreta che assume l’idea di società che vuole costruire. La nuova legge di Bilancio, ribattezzata con entusiasmo «finanziaria della famiglia», non fa eccezione: premia un modello unico di famiglia e lo trasforma nel perno del welfare. Tra le righe della finanziaria si legge un progetto politico preciso: sostituire lo stato con la famiglia, e la famiglia con le donne. Il messaggio, in sintesi, è: le donne a casa. Prima la famiglia e gli amici: ecco la premiata ditta Cirielli “La” famiglia Nel testo della manovra la parola “famiglia” ricorre spesso, ma rigorosamente al singolare. La famiglia immaginata dal governo è composta da una madre sposata, con due, preferibilmente tre figli, che lavora, ma poco, solo quel tanto che basta a integrare il reddito del marito. È il ritratto di un’ideologia che è anche un modello economico: la famiglia tradizionale come nucleo moralmente esemplare e socialmente produttivo. Le famiglie con tre o più figli, principali destinatarie delle misure, rappresentano una piccola minoranza: circa il 10 per cento delle coppie con figli, che a loro volta costituiscono appena un terzo del totale delle famiglie italiane. È una forma di astuzia politica, un po’ propaganda (una misura a sostegno delle famiglie, e pazienza se le beneficiarie reali sono pochissime), un po’ elargizione a un elettorato, quello delle associazioni delle famiglie numerose, spesso vicino alle destre. La «finanziaria della famiglia» non fotografa la società, la seleziona: trasforma la politica di bilancio in una forma di profilazione ideologica, in cui il sostegno economico diventa riconoscimento politico. Tutta casa e famiglia: Meloni e Salvini in difficoltà tornano ai vecchi slogan Donne a casa Le misure più celebrate del pacchetto “famiglia e pari opportunità” vanno tutte nella stessa direzione. La decontribuzione per le madri con tre figli si accompagna a quella per chi sceglie il part-time delineando un modello in cui le donne lavorano, ma come reddito secondario a quello di un uomo, rinunciando alla loro indipendenza economica. In un paese che già soffre una cronica carenza di servizi (asili, mense scolastiche, congedi di paternità paritari) e abbonda di part-time involontario, agevolare il part-time significa rendere strutturale la disuguaglianza. Il messaggio è chiaro: il miglior luogo di cura è la casa, e la cura è un compito delle donne. Eppure, anche volendo perseguire un’agenda pronatalista, i dati mostrano l’esatto contrario di ciò che la retorica suggerisce: i paesi in cui nascono più bambini sono quelli in cui le donne lavorano di più, con stabilità e qualità, e in cui gli uomini condividono il lavoro di cura. Serve un nuovo diritto di famiglia: il Paese è pronto, il governo no Politiche con il fiato corto Il problema non è solo di merito (e dunque di visione) è anche di metodo, quello che emerge da questa manovra è un modello di politica pubblica che somiglia alle raccolte punti del supermercato: raccogli i bollini e ottieni il premio. Sono politiche con il fiato corto, che distribuiscono piccoli vantaggi a chi risponde ai criteri morali del governo. Con la stessa cifra si potrebbero finanziare mense scolastiche, servizi educativi o piani di formazione per l’occupazione femminile. Ma le decontribuzioni e i bonus funzionano meglio: generano consenso immediato e non chiedono progettualità di lungo periodo. È un welfare che costa poco e vale ancora meno, perché trasforma i diritti in favori e le politiche in marketing elettorale. Un esempio di marketing è il fondo per l’offerta estiva delle scuole, che viene raccontato come il sostegno per le famiglie nella gestione del periodo estivo. Facendo un rapido calcolo: sono sessanta milioni di euro per circa quattro milioni e mezzo di bambine e bambini. Significa tredici euro a testa, l’equivalente di tre merende. Mantenimento, affido, genitorialità: arriva il ddl di Fratelli d’Italia. «Riporta il diritto di famiglia indietro di decenni» La «finanziaria della famiglia» non è solo un elenco di misure economiche: è una narrazione politica che, in tempi di incertezze, dice che l’unico riparo è un feticcio di famiglia tradizionale. In ogni caso, non tutto il male vien per nuocere: tra le misure c’è una strizzata d’occhio ai padri separati, le cui associazioni sono vicine alle destre, con un fondo per gli affitti in caso di separazione – da femministe possiamo dire che tutte le misure che agevolano le separazioni, in tempi in cui il freno è spesso economico, sono benvenute. E, nella stessa ottica di favorire i percorsi di autonomia, ben venga il rifinanziamento del reddito di libertà per le donne in fuoriuscita dalla violenza, anche questa una misura che ci auguriamo diventi strutturale.