In questi giorni si torna a parlare di “emergenza migranti”, la politica usa questa arma di distrazione di massa e giornali e tv sono costretti a inseguire. Così si parla poco dei fallimenti sul Pnrr (e su qualunque altro dossier) e degli scudi penali agli evasori.

Che l’emergenza mitranti non ci sia è questione di numeri. Il governo denuncia che nel 2023 siamo già a oltre 27mila sbarchi, mentre nello stesso periodo del 2022 le persone arrivate via mare erano 6.700 e nel 2021 6.300.

Sembra un grande aumento, certo, ma è un’emergenza? No, a marzo sono sbarcate circa 13mila persone, che è lo stesso numero di luglio 2022 (13.802), analogo a quello di agosto (16.822) ma anche di settembre (13.533) e di ottobre (13.493). A novembre e dicembre gli sbarchi sono stati un po’ meno, tra 9 e 10mila.

Persino intelletti limitati come quelli di chi a destra parla di migranti dovrebbero cogliere l’indizio statistico: quando c’è bella stagione si parte più che in pieno inverno, perché a rischiare la vita col maltempo i pericoli sono maggiori.

Anche se fosse vera – e non lo è – la narrazione dell’invasione, magari orchestrata da poteri occulti brutti e cattivi che vogliono la sostituzione etnica, oggi è ancor meno utile che in passato. Non diventerà mai una priorità europea. Per la semplice ragione che c’è la guerra in Ucraina.

La Polonia, paese che si è sempre opposto a redistribuire i poveracci arrivati via mare in Italia, ospita 1,5 milioni di ucraini, la Germania oltre un milione, la piccola Cechia 489.000, più del doppio dei 169.000 oggi in Italia. Indovinate cosa ci rispondo se spieghiamo a Bruxelles che non siamo in grado di gestire 2-3 mila persone in più di quelle previste che sbarcano?

La verità è che la narrazione dell’invasione impedisce di avere una politica dell’immigrazione strutturata ed economicamente sostenibile, in grado di gestire un flusso di arrivi che non è possibile fermare, neanche lasciando morire la gente in mare come è stato fatto a Cutro e nell’ultimo naufragio davanti alla Libia.

La questione immigrazione va segmentata in varie parti, da gestire in modo coerente ma senza aspettarsi soluzioni di breve periodo: salvare le vite in mare, tutte; accogliere in modo dignitoso chi viene salvato e sbarca; garantire alle imprese i lavoratori immigrati che servono (e che sono diversi da quelli che sbarcano, ne mancano almeno 160.000); fare una politica estera sensata nei paesi di partenza, possibilmente diversa dal pagare i trafficanti per fermare le partenze e tenere la gente nei lager, come in Libia.  

Questo governo, come anche alcuni precedenti, ha definito un equilibrio perverso: la gente parte, muore, se arriva è condannata a stare in zone grigie senza diritti e doveri, le imprese sono senza il personale necessario. Un bel successo, vero ministro Salvini?

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