Per capire l’America divisa di oggi, gli eccessi di Donald Trump e il consenso che li ha alimentati, si deve considerare il ciclo aperto dalle presidenziali del 2008.

La polarizzazione politica su basi razziali è anche una reazione alle innovazioni rappresentate dalla presidenza Obama. La circostanza che un leader e una famiglia nera (colta, popolare, cool) si siano insediati alla Casa Bianca ha riattivato pregiudizi latenti che Trump ha sfruttato nel 2016 con cinismo, gettando vari ami verso quella fetta di elettori bianchi, soprattutto maschi, evangelici, residenti in aree rurali, che sono poi diventati la frangia più intensa dei suoi sostenitori.

Per tenere mobilitato quell’elettorato, Trump ha voluto completare il primo mandato con un record, che rappresenta la sua eredità più duratura: lo spostamento degli equilibri all’interno del sistema giudiziario federale. Un sistema che si affianca a quello degli stati e opera non solo per amministrare il diritto: lo produce. Soprattutto la Corte Suprema, ma anche le Corti d’appello, dove si concludono molti giudizi che non superano il filtro della prima.

Le nomine dei giudici sono nelle mani del presidente (che le propone) e della maggioranza senatoriale (che le conferma). Nel 2008 i giudici di nomina repubblicana prevalevano in 10 Corti di appello su 13, dopo otto anni di Obama in 4.

In un solo mandato di Trump sono state confermate 54 nomine e l’equilibrio è stato ribaltato in 3 casi. Con 3 nomine per la Corte Suprema la maggioranza conservatrice rimarrà blindata per una intera generazione. Con i 176 giudici nominati nelle Corti distrettuali è cambiato il volto di più di un quarto dell’organico complessivo.

La reazione a Obama

Obama aveva intrapreso la strada della diversità nominando neri, latinos, asiatici, donne, gay in una quota mai vista. Anche per questo i repubblicani, allora in minoranza, usarono come non mai l’ostruzionismo, consentito dal regolamento del Senato. Nel 2013 i democratici decisero quindi di modificarlo tra le proteste dei repubblicani. Ma alle elezioni del 2014 i repubblicani ottennero la maggioranza e Mitch McConnell passò da minority a majority leader. Da quel momento le conferme sostanzialmente si bloccano.

Così, all’avvio della sua presidenza Trump si ritrova con un gran numero di posizioni vacanti e pochi vincoli. I nuovi giudici sono, ovviamente, in larga parte maschi, bianchi, di provata fede iper-conservatrice. Anche il 6 a 3 nella Corte Suprema segnato da Trump è frutto di una sequenza simile.

La giudice liberal Ruth Bader Ginsburg avrebbe potuto chiedere di andare in pensione in un momento in cui la nomina per sostituirla sarebbe stata proposta da Obama. Nel 2014, allora ottantunenne, spiegò perché non lo avrebbe fatto. Poiché il filibustering era stato disattivato solo per le corti di livello inferiore, a suo avviso Obama non sarebbe riuscito a far passare nessuna candidatura apprezzabile.

Bader Ginsburg è stata sostituita nel 2020 da una giovane seguace del giudice Antonin Scalia, collega e amico di Ginsburg per una intera vita professionale, ma su posizioni ideologiche opposte.

La buona notizia è che le tre nomine di super-conservatori alla Corte Suprema non sono servite al delirio di sovvertire il risultato elettorale. C’è però un altro triste record che Trump ha già battuto e ora si propone di migliorare.

Il ritorno delle esecuzioni

Nel 1972 la Corte suprema dichiarò incostituzionale la pena di morte, che fu reintrodotta nel 1988. Tuttavia, tolte le 3 esecuzioni autorizzate da George W. Bush tra il 2001 e il 2003, è stata sempre mantenuta una moratoria, al livello federale.

Nel solo anno elettorale 2020 Trump ha invece autorizzato il maggior numero di esecuzioni di qualsiasi altro presidente dagli anni Quaranta.

Dieci sono state già effettuare, nonostante nei singoli Stati questa pratica medioevale sia in declino e sia stata ulteriormente limitata per il Covid. 

È dalla fine dell’800 che i presidenti uscenti sospendono decisioni del genere. Trump ha invece autorizzato l’uccisione di altri tre detenuti programmata per metà gennaio, pochi giorni prima dell’insediamento di Biden.

Un gruppo di 51 diplomatici italiani si è attivato per fermare questo assurdo colpo di coda. Hanno scritto chiedendo il suo intervento a Callista Gingrich, ambasciatrice Usa presso la Santa Sede. Cattolica, moglie di Newt Gingrich, capo della maggioranza repubblicana alla Camera dei Rappresentanti al tempo della presidenza Clinton, convertito anche lui al cattolicesimo dopo il matrimonio.

Potrebbero entrambi spiegare a Trump che non ha senso sacrificare tre vite umane sull’altare di una battaglia elettorale persa e di una rivincita che forse non ci sarà.

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