Il genitore del bambino molto piccolo e il genitore dell’adolescente sono facilmente in disaccordo, e vederli litigare è interessante.

Il genitore del bambino piccolo, al quale tanto per cominciare mancano molte ore di sonno, dice a tutti che la sua vita è la più faticosa che si possa immaginare. Spiega che nel campo della genitorialità niente è come avere una peste che scappa ovunque, che si mette in pericolo di vita ogni secondo, che non sa stare calma al ristorante e che si sveglia ogni notte alle due precise (con una regolarità da thriller) per essere presa in braccio almeno un po’.

Il genitore dell’adolescente ascolta in silenzio queste dichiarazioni, qualche lampo di fastidio attraversa il suo volto, ma senza esagerare. A un certo punto alza un sopracciglio e si lancia in un discorso toccante: “Guarda che i miei figli sono stati piccoli, so benissimo di cosa parli, ma poi crescono in fretta, e quasi rimpiangi la dolcezza che avevano. Rimpiangi quella loro allegria priva di ombre, rimpiangi i loro giocattoli colorati. Niente equivale all’ansia che proverai quando invece saranno cresciuti e diventeranno misteriosi, sfuggenti, e succederanno cose che neanche ti puoi immaginare… Preferisco non parlare. Un giorno capirai”.

Il genitore dell’adolescente qui si perde a guardare un punto del soffitto. Il genitore del bambino piccolo dice, sottovoce: “Sì, sì, la dolcezza che avevano. Si vede proprio che hai rimosso”.

Il genitore dell’adolescente sospira, finge di non sentire. Poi dice: “Ora devo andare, vado a riposarmi perché stanotte farò duecento chilometri per recuperare mia figlia a un concerto, e chissà cosa accadrà a questo concerto, chissà, del resto crescono, bisogna lasciarli liberi, accettare i rischi… Ma certo è più difficile la tua vita, certo è peggio quando dobbiamo educarli a togliere il ciuccio, sì, certo”.

La differenza di età 

Da madre di due figli fra i quali esiste una differenza di età significativa, mi piace pensare che non so bene chi abbia ragione. La genitorialità, del resto, è ricca di strani paradossi. Come la vita. Daniel Kahneman, psicologo e premio Nobel per l’economia, nel famoso libro Pensieri lenti e veloci descrive due modalità dell’essere.

La prima si chiama «sé esperienziale», e riguarda il modo in cui rispondiamo alla domanda: «Sei felice, in questo esatto momento?». Riguarda insomma la valutazione di un istante dell’esistenza, fatta mentre quell’istante lo si vive.

La seconda modalità si chiama «sé mnemonico», e riguarda, come ci si può aspettare, la memoria. La domanda alla quale risponde non ha a che fare con la valutazione di un istante mentre lo si vive, ma con la valutazione del ricordo di un’esperienza: «Com’è andata, nel complesso? Sei stato felice, in quel periodo?».

Chiaramente il sé mnemonico è quello che ha più voce, perché a posteriori un’esperienza avrà valore solo per come ce la ricordiamo. «I ricordi sono tutto quello che possiamo conservare della nostra esperienza di vita e l’unica prospettiva che possiamo adottare è quella del sé mnemonico».

Il sé esperienziale, invece, potrà vivere solo nell’istante, ma sarà muto, perché non avrà neppure il tempo di parlare: a un istante segue subito il successivo, il presente ci sfugge dalle mani prima che possiamo organizzarlo, capirlo e in qualche modo raccontarlo. Avere bambini piccoli ci avvicina al sé esperienziale: sei travolto, vivi in un confuso presente.

Quando hai un neonato, le giornate sono lunghe e il tempo è più che mai vivo, quasi lo si può toccare, evento rarissimo, nella vita. Il genitore dell’adolescente invece ha già assunto una prospettiva, è fatto soprattutto di memoria, valuta e decide con una certa capacità di respiro. Si comporta in maniera simile a un adulto normale, insomma (il genitore del neonato non è un adulto normale, diciamo la verità). Il presente del genitore dell’adolescente certo esiste, ma lo sguardo prospettico ha tutto il tempo di materializzarsi e di prendere il sopravvento, perché gli eventi vissuti, anche intensi, hanno assunto una qualità più rarefatta, rispetto a quanto accade a chi si occupa di bambini piccolissimi.

William Wordsworth, il poeta, disse che la poesia nasce dalle emozioni ricordate in un momento di tranquillità. La poesia nasce, insomma, dal sé mnemonico. Questo è ovvio, perché se pensiamo a quello che dice Kahneman solo il sé mnemonico ha tempo di parlare, e dunque di fare poesia. Il sé esperienziale non può.

E chissà come sarebbe, la poesia del sé esperienziale, se potesse esistere. Forse avrebbe una natura matematica, sarebbe la somma di una serie di frammenti. Una risposta continua alla domanda “sei felice, in questo esatto momento?”. 

© Riproduzione riservata