È ripresa la scuola, nella classe di mia figlia i bambini devono inventare una storia. Lo facevano anche l’anno scorso, spesso. Nel pomeriggio chiedo dunque a mia figlia come fa a inventarsi le storie, che procedimento segue. Non capisce subito la domanda, del resto è una domanda un po’ vaga. Le chiedo allora se, per esempio, le sue storie nascano da un’immagine. Non so, l’immagine di una bambina che vive sugli alberi. Da questa immagine poi viene derivata la storia, espandendo via via il campo dell'invenzione. Oppure se invece nascano da una parola. Usando questa parola, disegnando le sue ramificazioni, si fabbrica via via un piccolo mondo.

Mia figlia a questo punto mi risponde senza esitare: lei parte sempre dalle parole. Talvolta prende il dizionario e lo sfoglia fino a quando incontra una parola che la colpisce, e decide di usarla, di costruirci qualcosa intorno. Per esempio quella mattina in classe ha scritto una storia partendo da “ornitorinco”.

Il problema della fantasia

I genitori dei bambini di oggi (dico “di oggi”, ma la questione esiste ormai da parecchio) sono assai presi dal problema dell’immaginazione. Siccome i bambini sono spesso attaccati a uno schermo, e stimolati in vari modi, e questi stimoli somigliano più alla creazione di una dipendenza che all’incoraggiamento, ci si chiede se la loro immaginazione risulti in qualche modo depotenziata: se ricevi costantemente sollecitazioni dall’esterno, come puoi avere il tempo di coltivare la fantasia? I bambini di oggi sono appiattiti?

L’angoscia del genitore per il problema dell’immaginazione continua fino all’inizio delle scuole medie, poi a un certo punto scompare, forse con la pubertà, a dire il vero non lo so, ma scompare, e non si capisce come mai fino a un attimo prima fosse presente. Non ho mai incontrato il genitore di un sedicenne che fosse preoccupato per la scarsa immaginazione del figlio. Da una certa età in poi è come se il problema si fossilizzasse. Si diventa la persona “che non ha tanta fantasia”, e forse, si dice, è meglio così, perché l’immaginazione è nemica della concretezza.

Una necessità umana

In realtà l’immaginazione è una necessità umana che non ha niente a che fare con l’età, e non è nemica o se è per questo amica di niente, collocandosi al di là di ogni facile alleanza, perché appunto fa parte del regno della necessità: semplicemente abbiamo bisogno dell’immaginazione, e se ci dimentichiamo della sua esistenza prima o poi ne paghiamo le conseguenze. Saranno conseguenze gravi? Su questo ognuno rifletta per conto proprio. Ma secondo me sì, saranno gravi.

Nelle Lezioni americane Italo Calvino elencò le possibili funzioni dell’immaginazione, che è per esempio uno strumento di conoscenza. Le visioni improvvise possono essere lo spunto iniziale di un processo di ricerca, non solo personale o spirituale, ma anche scientifico. L’immaginazione può essere poi un modo per accedere alla dimensione extraindividuale, a ciò che sta al di là del sé, all’anima del mondo. L’immaginazione, infine, è il catalogo di ciò che avrebbe potuto essere, ma non è.

Naturalmente va coltivata, proprio nel senso di curarla e farla crescere in maniera organizzata, non accidentale. Non bisogna soffocarla, come non soffocheresti le coltivazioni, ma non bisogna neanche lasciarla libera per sempre, senza chiederle nulla in cambio, perché in tal caso diventa solo confusione, un’erba infestante.

Tempo fa ho tenuto un corso di scrittura creativa per bambini, è stato singolare. I bambini sono – come si usa dire con un’espressione abusata, ma in fondo corretta – “un vulcano di idee”. Sono una macchina per la produzione di spunti, niente a che vedere con gli adulti. Ma portarli a organizzare questi spunti e a creare qualcosa di coltivabile è complicato. Spesso procedono per affastellamento, per accumulazione, buttano le immagini in un calderone sperando che accada qualcosa. L’equilibrio fra la necessità di non soffocarli e quella di aiutarli a organizzare il materiale è delicato. Insegnare a usare l’immaginazione è un lavoro lungo. Forse non si può insegnare.

Sempre Calvino, nelle Lezioni americane, usò l’espressione “pedagogia dell’immaginazione”. Ma lì si fermò, e non disse cos’è. Disse unicamente che è una pedagogia che si può esercitare solo su sé stessi, con metodi inventati volta per volta e risultati imprevedibili. Ricorda sé stesso bambino, solo, di fronte alle immagini del Corriere dei Piccoli: non sapeva ancora leggere, ma «mi raccontavo mentalmente le storie interpretando le scene in diversi modi». Forse quello che possiamo fare per i bambini, in questo campo, è lasciarli stare.

© Riproduzione riservata