A volte l’entusiasmo post elettorale che accompagna una vittoria può generare mostri. Il 5 ottobre, intervistato da Repubblica dopo il primo turno delle elezioni amministrative e l’elezione a deputato nel collegio di Siena-Arezzo, il segretario del Pd Enrico Letta, aveva deciso di utilizzare un’immagine che a chi è nato tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila, avrà detto poco o niente: «Oggi può nascere una nuova stagione politica, il nuovo Ulivo».

Posto che nessuno impedisce ai ragazzi di oggi di studiare e conoscere la storia politica del nostro paese, ricordare e ispirarsi a un’esperienza politica iniziata nel 1995 e terminata quattordici anni fa, non sembra il modo migliore per lanciare un’immagine di futuro. Certo, Letta aveva anche parlato di «un centrosinistra moderno e anche radicale».

Ma la formula «nuovo Ulivo», ha immediatamente generato l’effetto amarcord. Dopotutto quella creata da Romano Prodi, capace di fermare per ben due volte Silvio Berlusconi e la Forza Italia che raccoglieva percentuali ben più importanti di quelle (misere) di oggi, resta un’esperienza di successo. Chissà che l’evocarla non produca un favorevole allineamento degli astri. Nel tempo il «nuovo Ulivo», più per semplificazione giornalistica che per ripensamento del leader democratico, è diventato un più moderno «Ulivo 2.0», ma il risultato cambia di poco.

Anche perché, nel frattempo, l’azione politica è sembrata procedere spedita verso la direzione indicata. E cioè quella di raggruppare quanti più pezzi del centrosinistra dietro a una sigla politica, che preoccuparsi del programma che dovrebbe tenere insieme questa miriade di soggetti. Non solo, Letta, novello federatore sulle orme di Prodi, ha anche riproposto un altro schema di gioco che ai più anziani suonerà famigliare.

Domani e venerdì, alla vigilia del G20 di Roma, riunirà nella sede del Pd a largo del Nazareno, i leader progressisti europei e mondiali. Sono annunciati il tedesco Olaf Scholz, lo spagnolo Pedro Sánchez, il canadese Justin Trudeau, la neozelandese Jacinda Ardern (in collegamento video) ma anche John Podesta, già capo di gabinetto di Bill Clinton, consigliere di Barack Obama e capo della campagna di Hillary Clinton.

L’obiettivo è quello di affrontare i grandi temi dell’agenda politica globale, ma anche creare una sorta di “alleanza” tra coloro che guidano, o ambiscono a guidare (Letta), un governo di centrosinistra. Anche qui una formula c’è già. Ed è l’«Ulivo mondiale» che nella stagione prodiana riassumeva il nuovo ordine mondiale lungo l’asse Tony Blair-Bill Clinton di cui l’Italia era un piccolo seme fecondo.

In un articolo del 2009 lo stesso Prodi, sul Messaggero, ha parlato di quegli anni: «Dopo un lungo periodo in cui la politica mondiale era stata dominata dal binomio Reagan-Thatcher, la situazione si rovesciò con la vittoria di Blair che sembrava in grado di cambiare i destini europei con il new labour, la terza via che avrebbe dovuto rinnovare il riformismo europeo e lo schema politico mondiale collegandosi con le novità che Clinton proponeva negli Stati Uniti.

Con un pizzico di esagerazione, ma anche per esaltare il ruolo italiano in questo processo, si era arrivati perfino a parlare di “ulivo mondiale”. La causa della sconfitta di questa grande stagione è da individuare nel fatto che, mentre in teoria il nuovo labour e l’ulivo mondiale erano una fucina di novità, nella prassi di governo di Tony Blair e i governi che a esso si erano ispirati si limitavano a imitare le precedenti politiche dei conservatori inseguendone i contenuti e accontentandosi di un nuovo linguaggio». Insomma, non basta parlare di «nuovo Ulivo» per produrre veramente una novità.

 

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